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La difesa della Lituania dalla “crescente pressione politica e coercizione economica” da parte della Cina rappresenta una priorità per gli Stati Uniti di Joe Biden, che stanno cercando di spingere alleati e partner – compresa l’Italia – al fianco di Vilnius dinnanzi al comportamento di Pechino. Una reazione che nasce dalla decisione del governo lituano di dare il via libera all’apertura di un ufficio di rappresentanza di Taiwan nella capitale. Scelta su cui recentemente, dopo che la Commissione europea ha cercato di non farsi coinvolgere, il presidente lituano Gitanas Nausėda si è espresso così all’emittente Žinių radijas: “Penso che non sia stato un errore l’apertura dell’ufficio di Taiwan, ma il nome, che non è stato concordato con me”.

Era stato lo stesso Blinken, il 21 dicembre, nel corso di una telefonata con la premier lituana Ingrida Simonyte, a ribadire che Washington è al fianco di Vilnius: il capo della diplomazia statunitense aveva sottolineato “il sostegno” alla Lituania e ribadito “l’impegno degli Stati Uniti a lavorare con i Paesi like-minded per respingere il comportamento diplomatico ed economico coercitivo della Repubblica popolare cinese”.

Di questo si è parlato, più di recente, nel corso del colloquio del segretario di Stato Antony Blinken con ministri degli Esteri dei Nove di Bucarest, gruppo del fianco Est della Nato che raduna Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia e Ungheria. Come ha spiegato il portavoce del dipartimento di Stato Ned Price, in cima all’agenda dei lavori tra Blinken e i Nove c’è stata la situazione in Ucraina, con il “destabilizzante rafforzamento militare” della Russia al confine e con l’impegno americano alla “stretta consultazione” e al “coordinamento” con tutti gli alleati e partner transatlantici mentre si lavora alla de-escalation “attraverso la deterrenza, la difesa e il dialogo”.

La nota del dipartimento di Stato sul colloquio prosegue citando la questione lituana, che era già stata al centro delle telefonate di Blinken con l’omologo italiano Luigi Di Maio del 31 dicembre, con gli omologhi di Francia (Jean-Yves Le Drian), Germania (Annalena Baerbock) e Regno Unito (Elizabeth Truss) del 29 dicembre scorso e con l’Alto rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza Josep Borrell del 22 dicembre.

La formula utilizzata nelle note di Washington dopo i colloqui di Blinken con gli omologhi dei Nove di Bucarest, con quello italiano e con quali di Francia, Germania e Regno Unito è la medesima, e sottolinea la “solidarietà con la Lituania di fronte alle crescenti pressione politica e coercizione economica della Repubblica popolare cinese”. Di “preoccupazioni condivise” si legge, invece, nella nota sulla telefonata con l’Alto rappresentante Borrell, nella quale si evidenzia anche che queste pratiche “stanno avendo un impatto sia sulle aziende statunitensi che su quelle europee”. “Mettono a rischio la prosperità e la sicurezza degli Stati Uniti e dell’Europa”, recita il comunicato relativo alla conversazione con Di Maio.

Come evidenziato su Formiche.net, però, il riferimento alla Lituania è presente soltanto nella ricostruzione americana del colloquio, non nel comunicato della Farnesina.

“Gli Stati Uniti e la Nato sono molto chiari”, commenta Paolo Formentini, deputato della Lega e vicepresidente della commissione Esteri della Camera, con Formiche.net. “Sarebbe bello che anche l’Unione europea lo fosse. Invece, viene sbeffeggiata dal ministero degli Esteri cinese Wang Yi proprio per l’assenza di una politica estera definita e ben delineata”, aggiunge. Il timore di Formentini è che “la vagheggiata terza via europea tra Stati Uniti e Cina, se mai dovesse andare in porto, causi soltanto un indebolimento dell’Occidente, che altro non è che uno degli obiettivi di Pechino”, spiega. In questo senso, guardando anche alle ragioni dello scontro tra Lituania e Cina, aggiunge: “l’unità dell’Occidente dovrà palesarsi nella difesa di Taiwan: se cade Taiwan, cade l’Occidente”.

“È comprensibile ciò che stanno facendo gli Stati Uniti sul teatro che a loro interessa di più, cioè l’Indo-Pacifico”, osserva Alessandro Alfieri, senatore del Partito democratico e segretario della commissione Esteri di Palazzo Madama, con Formiche.net. “Penso, tuttavia, che serva un salto di qualità. Lavorare a livello bilaterale può servire ad arginare una situazione ma rischia di non cogliere l’obiettivo finale. Per questo, credo che sul rapporto con la Cina gli Stati Uniti debbano dialogare, se non con l’Unione europea tutta, almeno con lo zoccolo duro che si è riformato negli ultimi tempi, quello formato da Francia, Germania e Italia”, aggiunge il senatore evidenziando anche l’interesse di questi Paesi a mantenere aperti i canali di dialogo commerciale con la Cina. In questo senso, “l’Italia dovrebbe spingere verso una posizione unitaria dell’Unione europea davanti a una penetrazione economica cinese che, come dimostra la Via della Seta, si trasforma spesso in influenza politica”, conclude.

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