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Il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, ha dichiarato in una conferenza stampa di oggi, venerdì 26 novembre, di aver ricevuto informazioni sui preparativi per un colpo di Stato: “Ho saputo dalle agenzie di intelligence di altri paesi informazioni su un colpo di Stato che potrebbe avere luogo nel nostro Paese il primo dicembre. O tra il primo e il 2 dicembre. È un’informazione interessante e anche importante”, ha detto.

Quanto annunciato è teoricamente credibile: da settimane si susseguono speculazioni su una nuova accensione violenta del conflitto ancora aperto del Donbas, si parla di potenziali piani di invasione russa a sostegno dei ribelli dell’Est ucraino che combatto dal 2014 il governo centrale, filtrano voci su potenziali false flag che Mosca potrebbe usare come pretesto per un’operazione simil-Crimea. Al contesto che rende possibile quanto dichiarato da Zelensky, si aggiunga che il Paese è in effetti molto decentralizzato e per qualsiasi leader avere una salda presa su tutte le fermentazioni che possono avvenire in un dato momento è difficoltoso – soprattutto con la guerra in casa.

“Abbiamo informazioni da agenti e anche informazioni audio su una discussione, per così dire, tra i rappresentanti ucraini con i rappresentanti russi sulla partecipazione di Rinat Akhmetov a un colpo di Stato in Ucraina e un’assegnazione di un miliardo di dollari”, ha dichiarato. Secondo il presidente, Akhemtov, magnate ucraino, proprietario della holding finanziaria System Capital Management e presidente della squadra Shaktar Donetsk, “è stato incastrato”. “Credo che questa sia un’operazione volta ad attirarlo in una guerra contro lo stato ucraino, che sarebbe un grande errore, poiché non si può combattere il proprio popolo e il presidente eletto dal popolo dell’Ucraina”, ha detto Zelensky, secondo quanto riporta Interfax. La Russia nega qualsiasi genere di coinvolgimento.

Se la vicenda si sposa alle preoccupazioni che da giorni escono da diverse cancelliere – su tutte da Washington – d’altra parte va anche considerato che quella in corso è una guerra di nervi, dove dichiarazioni, comunicati, narrazioni diventano una componente di operazioni psicologiche nei confronti dei rivali.

Fomentare disordini per mostrare che la popolazione in Ucraina è contro il governo è d’altronde parte di un piano che dura da tempo: un’infowar costante portata avanti dai separatisti del Donbas (con l’assistenza in forma ibrida della Russia).

La situazione mette in evidenza le complessità che il presidente Zelensky si trova ad affrontare: da un lato è lui di gran lunga il politico più popolare del Paese, ma dall’altro è consapevole di avere delle vulnerabilità con davanti a sé un fronte di malcontento che rende traballante la sua immagine. Un punto a suo sfavore sta anche nell’inclinazione al pugno duro, alla narrazione forte, che ha fatto da base alla sua elezione e per certi versi è anche necessaria per tenere il polso del Paese, ma che rende complicato il suo rapporto con l’Occidente – difficilmente, davanti a una Russia aggressiva, Usa e Ue possono permettersi di sostenere in forma assoluta un ucraino che non sceglie la distensione.

“C’è una minaccia concreta oggi che potrebbe esserci una guerra, ma è anche vero che c’è troppo allarmismo da parte di vari mass media su questo argomento”, ha dichiarato Zelensky, aggiungendo: “Siamo comunque preparati per un’escalation”.

Ora il rischio che la situazione diventi ancora più complicata da disinnescarsi. Se la minaccia del colpo di Stato fosse concreta, allora Kiev sarà ancora più riluttante nell’accettare concessioni sui negoziati che riguardano l’attuazione dell’accordo “Minsk-2” per il deconflicting. Se fosse stata esagerata nel racconto non farebbe che esasperare una tensione già alta – giocando per certi versi a favore della Russia, che sta provando a dimostrare che a Kiev c’è un’ampia fetta di popolazione scontenta, qualcosa successo già con l’annessione della Crimea.

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