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La decisione del Vaticano di far portare alla XIII stazione della Via Crucis del Venerdì Santo la Croce ad una donna russa ed una ucraina, due amiche, è stata  contestata in ambienti cattolici e non cattolici con modalità a volte così ruvide da farla apparire una scelta capace di salvare la cattolicità della Chiesa. Cattolico infatti vuol dire universale, e questa universalità a me sembra il fatto più rilevante della scelta compiuta dal Vaticano. Insieme ad un altro fatto: il coraggio di una donna russa di riconoscere il dolore della sua sorella, in quanto tale diversa da lei, cioè ucraina.

Proprio nelle ore in cui questa discussione viene avversata con il solito sogno che possa esistere un estremismo anti-estremista, un assolutismo anti-assolutista, un fondamentalismo anti-fondamentalista, che risponda al fondamentalismo russo che nega l’Ucraina con un contro- fondamentalismo, arriva la notizia che domani, in edicola, con il Corriere della Sera, troveremo un libro di papa Francesco: “Contro la guerra. Il coraggio di costruire la pace”. Il sito della Santa Sede, Vaticannews, ne ha anticipato l’introduzione. E già dalle prime righe Francesco ci mette di nuovo davanti alla nostra vista parziale, limitata. Perché non esordisce parlando “della guerra” come noi la vediamo, ma parlando dell’Iraq visitato appena un anno fa e quindi delle altre guerre che abbiamo dimenticato, rimosso. Magari si tratta di guerre che c’erano già prima di quella per Kiev, o ora per il Donbass, ma che abbiamo ignorato, trascurato, lasciato da parte. Come se lì non si morisse, non si uccidesse. Non ci hanno riguardato perché siamo sicuri che non ci riguardino, cioè non sono “qui”.

Il punto è potente non solo per la forza terapeutica nei confronti di sguardi parziali e autoreferenziali, ma anche per quel che ci spiega: “Fin dall’inizio del mio del mio servizio come vescovo di Roma ho parlato della Terza guerra mondiale, dicendo che la stiamo già vivendo anche se ancora a pezzi. Quei pezzi sono diventati sempre più grandi, saldandosi tra di loro”. È universalità guardare agli altri conflitti, ma è anche capacità di capire che erano prodromi di una guerra che ora vediamo per il dato geografico: quella guerra a cui eravamo indifferenti è arrivata da noi e ora ci interessa, per forza. Forse sarebbe stato meglio capirlo prima. Francesco ricorda il magistero dei suoi predecessori contro la guerra, poi aggiunge: “Quella a cui stiamo assistendo è l’ennesima barbarie e noi, purtroppo, abbiamo la memoria corta. Sì, perché se avessimo memoria, ricorderemmo che cosa i nostri nonni e i nostri genitori ci hanno raccontato, e avvertiremmo il bisogno di pace così come i nostri polmoni hanno bisogno di ossigeno”. Vista difettosa, memoria corta. Così colpisce il dato che cita: “1981 miliardi di dollari  all’anno, secondo i conteggio di un sportante centro studi di Stoccolma. Segnando un drammatico +2,6 % proprio nel secondo anno di pandemia, quando invece tutti i nostri sforzi si sarebbero dovuti concentrare sulla salute globale e nel salvare vite umane dal virus”. Altri 3 miliardi (pochi nel complesso) e saremmo arrivati al famoso 1984 di Orwell. Comunque manca poco.

In questa corsa disperata a rappresentare la propria rabbia o sete di giustizia, il messaggio cristiano del perdono può sembrare quanto di più folle si possa immaginare. Eppure nell’enciclica “Fratelli tutti” Francesco scrive: “Perdonare non vuol dire permettere che continuino a calpestare la dignità propria e altrui, o lasciare che un criminale continui a delinquere”. È uno dei volti più affascinanti del perdono: una volta Francesco, incontrando gli aderenti a Comunione e Liberazione, ha detto che la morale cristiana non è non cadere mai, ma rialzarsi sempre, grazie alla mano di Gesù che mai  abbandona. È questo il perdono? La forza del perdono? Il discorso non potrebbe esaurirsi facilmente perché in altra circostanza Francesco parlò del giudizio della storia al quale nessuno può sottrarsi. Quando Willy Brandt si inginocchiò a Varsavia seppe parlare al mondo, ma anche perché il mondo seppe produrre Willy Brandt.

Uscire dalla logica della guerra è difficile perché nulla è più mimetico della violenza. E Francesco nel suo testo sa aggiungere alla teoria del mimetismo della violenza un passaggio cruciale, bellissimo, citando don Tonino Bello: “I conflitti e tutte le guerre trovano la loro radice nella dissolvenza dei volti. Quando cancelliamo il volto dell’altro, allora possiamo far crepitare il rumore delle armi”. Non è quello che che si è percepito nel famoso discorso di Putin d’inizio conflitto, quando sono parsi dissolversi i volti degli ucraini, negati nella loro esistenza come popolo? Anche questo, però, è un rischio mimetico.

Il libro di Francesco e le guerre rimosse

Domani, in edicola con il Corriere della Sera, troveremo un libro di papa Francesco: “Contro la guerra. Il coraggio di costruire la pace”. Già dalle prime righe Francesco ci mette di nuovo davanti alla nostra vista parziale, limitata. Perché non esordisce parlando “della guerra” come noi la vediamo, ma parlando dell’Iraq visitato appena un anno fa e quindi delle altre guerre che abbiamo dimenticato, rimosso

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