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Di venerdì sera, giusto per farla digerire nel fine settimana, Francesco Gaetano Caltagirone sgancia una bomba sulla sfida per il controllo delle Assicurazioni Generali. Appena chiude la borsa, annuncia il recesso “unilaterale e immediato” dal patto siglato con Leonardo Del Vecchio (Delfin) e Fondazione Crt in vista dell’assemblea di aprile che dovrà votare i nuovi vertici del Leone.

In una lettera inviata all’ad di Delfin Romolo Bardin e al presidente di Crt Giovanni Quaglia, considera “superata la funzione cui il patto era preordinato, la consultazione delle parti in vista delle determinazioni da assumere in occasione della prossima assemblea di Generali”.

In teoria, il trio che ha in mano circa il 16% delle azioni avrebbe dovuto presentare una lista congiunta e una serie di proposte per rivoluzionare il controllo delle assicurazioni triestine e sostituire l’attuale management, che ha la fiducia del primo azionista Mediobanca (forte di una quota del 17% grazie a un prestito titoli) e si presenterà all’assemblea con una lista stilata dall’attuale cda.

Il gruppo Caltagirone ha deciso invece di presentare una propria lista “sebbene non sia stata ancora assunta univoca determinazione circa la promozione di una lista lunga oppure corta”. Una lista lunga, in gergo, vuol dire in grado di coprire tutte le posizioni del consiglio, che possa essere votata da una maggioranza degli azionisti. Una lista corta invece viene tradizionalmente presentata da soci di minoranza e fondi di investimento per portare una rappresentanza in cda senza l’ambizione di conquistare una quota di controllo.

Nella lettera di Caltagirone, che in questi mesi ha più volte e rumorosamente dimostrato la sua insofferenza, si legge che non è mai emersa da parte della compagnia “alcuna effettiva disponibilità al confronto rispetto alle finalità condivisa dai pattisti”. Per esempio, la volontà di confermare il Ceo Donnet “è stata resa nota prima e a prescindere da alcuna adeguata interlocuzione e per di più prima dell’approvazione della procedura, assai censurabile nei contenuti, per la presentazione di una lista del consiglio, scelta che non è sorretta da alcuna giustificata motivazione”.

È difficile non legare questa alla decisione della Consob, che il 21 gennaio ha risposto ai quesiti presentati proprio da Caltagirone sulla legittimità delle liste del cda. Nel richiamo di attenzione, in sostanza, si è dato il via libera alla procedura di Generali. La modifica allo statuto di Generali che introduce la possibilità di presentare liste del cda fu votata all’unanimità, dunque anche da Caltagirone, nell’assemblea 2020.

Nella missiva si ricorda che nell’accordo restava “impregiudicata la facoltà di ciascuna di esse di adottare ogni decisione in via autonoma” e che “nessun impegno è stato (…) assunto a valle della sottoscrizione del Patto con riguardo alla presentazione di liste di maggioranza o di minoranza, né tantomeno con riguardo al voto nella assemblea”. Il tutto a voler fugare che Caltagirone e Del Vecchio agissero in tandem.

Tanto che più avanti si sostiene che “sono state, e continuano a essere, diffuse dalla stampa illazioni di ogni tipo circa diversi e ulteriori obiettivi che i paciscenti avrebbero inteso perseguire. Narrazioni evidentemente aliene dalla realtà, e che tuttavia contribuiscono a alterare la percezione in merito alle reali, documentate e univoche finalità del Patto”.

Qualcuno, leggendo solo il titolo della notizia sull’uscita di Caltagirone del patto, avrebbe potuto pensare che l’obiettivo dei due billionaire fosse appunto avere le mani libere per acquistare ancora più azioni e arrivare all’assemblea con un arsenale ben più ricco di quello che risulta dalle ultime comunicazioni al mercato.

Però, dopo simili precisazioni (era solo un accordo di consultazione; non c’era nessun piano di votare insieme in assemblea; non esistono obiettivi ulteriori) è difficile immaginare che al dunque i due si presentino di nuovo compatti, magari con Romolo Bardin e altri nomi della galassia Del Vecchio inseriti nella lista appena annunciata da Caltagirone. Una mossa simile andrebbe a contraddire inequivocabilmente il testo di questa lettera.

A caldo, dunque, sembrerebbe esserci davvero una rottura, e la controprova sarebbe in quella incertezza sul presentare una lista di maggioranza o di minoranza: nel secondo caso, sarebbe una resa del fronte anti-Donnet, con due azionisti forti che si limiterebbero a una “testimonianza” in cda, ciascuno coi propri consiglieri. Andrà davvero così? Nel duello finanziario dell’anno, non sembra mai scritta l’ultima parola…

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