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In un’intervista esclusiva con BBC Persian, Qais al Khazali, il leader di Asaib Ahl al Haq (AAH, la Lega dei Giusti), afferma che dopo l’uccisione del generale Qassem Soleimani ci sono stati dei “seri cambiamenti” nei metodi iraniani di trattare con l’Iraq e dipende da coloro che gestiscono il fascicolo sull’Iraq.

“Dico questo per la prima volta: diversi gruppi della resistenza sono ora in grado di fabbricare le proprie armi, in particolare droni […] quindi se un giorno il successore di Soleimani deciderà di tagliare il supporto, dovesse essere m, ciò non influirà sulle capacità della resistenza” dice Khazali. Il messaggio è chiaro, diretto sia a Teheran che a Washington, Riad, Abu Dhabi e Gerusalemme: le milizie irachene come AAH sono ormai militarmente indipendenti.

Asaib Ahl al Haq, noto anche come Khazali Network per il peso che la famiglia del leader ha nell’organizzazione, è un partito/milizia iracheno che fa parte della rete costruita dall’Iran per creare un’internazionale dello sciismo che risponda (quanto più possibile) alle direttive dei Pasdaran — che li usano come proxy per proiettare la propria politica estera. Operativi del gruppo hanno per esempio partecipato alle iniziative offensive contro l’ambasciata americana di Baghdad e contro le basi occidentali nel Paese. Khazali fa capire di poter procedere già in modo autonomo, e dunque dare priorità alla sua agenda.

Questo network transnazionale noto come Asse della Resistenza è stato curato nei vari dettagli dal molto-più-di-un-comandante Qassem Soleimani, che ha gestito i rapporti con i gruppi regionali collegati alla Repubblica islamica fino al momento della sua morte. Soleimani, che aveva il ruolo di guidare le Quds Force (coloro che per i Pasdaran coordinano tutte le attività all’estero) era in grado di controllare tutto, anche di evitare eccessive autonomie che potessero essere negative per gli interessi dell’Iran. Di lui se ne parla al passato perché è stato ucciso il 3 gennaio del 2020 da un missile sganciato da un drone statunitense mentre si trovava in una macchina percorrendo la strada che dall’aeroporto di Baghdad porta al centro della città.

Con lui c’era Abu Mahdi al-Muhandis, comandante delle Forze di mobilitazione popolare, Pmf, la milizia ombrello che coordina tutti i gruppi iracheni. Le Pmf sono in costante collegamento con i Pasdaran: tra i grandi lavori fatto da Soleimani c’è anche l’aver sfruttato l’occasione per coordinare la resistenza anti-Is attorno all’ideologia dell’internazionale sciita. Questo, oltre che rafforzare le forze in Iraq, ha permesso agli iraniani di averne maggiore controllo attraverso il coordinamento.

Ora il posto di Soleimani è stato preso da Ismail Qaani, un ufficiale con molta meno leadership e molto meno pragmatico che fatica a svolgere il suo ruolo. È un fattore da tenere in particolare considerazione dal governo italiano, dato che tra pochi mesi toccherà all’Italia guidare la missione Nato in Iraq, e dunque di avere a che fare con questo contesto.

La Lega dei Giusti è una delle principali milizie del genere filo-iraniano, famosa sin dai tempi della Guerra d’Iraq tra i “gruppi speciali” che compivano attacchi terroristici contro le forze di occupazione occidentale (anti-occidentalismo, antisemitismo, anti-sunnismo sono gli elementi comuni dei gruppi iracheni con i Pasdaran o con altre realtà della resistenza come gli Hezbollah libanesi). Dal 3 gennaio 2020 l’organizzazione, così come i fratelli Qais e Laith al-Khazali sono considerati dagli Usa terroristi, sebbene membri della Lega dei Giusti siano stati eletti sotto la Fatah Alliance e facciano parte del parlamento iracheno.

Nafiseh Kohnavard, la bravissima corrispondente di BBC World che ha curato l’intervista, ha chiesto a Khazali cosa ne pensasse del monito statunitense inviato per lettera a Teheran prima dell’anniversario di Soleimani (considerato un momento di particolare tensione in Iraq, che in questi ultimi anni ha fatto da valvola di sfogo per i problemi tra Washington e alleati e Teheran). Gli Usa hanno detto al governo iraniano che se i gruppi sostenuti attaccano gli interessi degli Stati Uniti, la risposta “non si limiterà” a questi. “L’Iran è in grado di difendersi e noi ci difenderemo”, dice Khazali.

Il leader miliziano aggiunge altre informazioni interessanti: “Voglio dirlo chiaramente qui che, anche se i colloqui di Vienna si concluderanno con successo, le resistenze irachene non si fermeranno fino a quando le forze americane non se ne andranno” — da notare che per queste milizie tutte le forze occidentali sono “americane” e il rischio —come successo con alcuni attacchi contro la base della Coalizione anti-Is a Erbil — è l’assenza di discriminazione dietro alla semplificazione ideologica.

Khazali parla dei colloqui in corso sulla ricomposizione del Jcpoa, l’accordo nucleare con l’Iran: l’iracheno fa capire che la resistenza non dipende dalle questioni internazionali — è in parte propaganda, perché i suoi concittadini sono stanchi di questa dipendenza dall’Iran, vorrebbero maggiore sovranità anche per le milizie, e l’adeguamento populista di queste è una preoccupante realtà. Khazali afferma anche che a suo avviso “l’occasione d’oro per la grande vendetta” per l’omicidio di Solimani non è avvenuta e che la risposta di Teheran (una salva di missili che nei giorni seguenti hanno colpito basi in Iraq ospitanti anche soldati americani) è arrivata troppo tardi: “La resistenza irachena è stata invitata ad attendere la risposta dell’Iran che è arrivata dopo una settimana e a quel punto le tensioni erano già diminuite”. Lui dice insomma che voleva fare da solo, ed essere più duro.

Il tema di distacco con l’Iran esposto da Khazali non è completamente scevro da interessi legati a contingenze: i gruppi iracheni non riconoscono il risultato delle ultime elezioni, accusano interferenze esterne (in particolare degli Emirati Arabi Uniti, e infatti potrebbero aver fornito assistenza al recente raid degli Houthi), non sopportano la sconfitta subita davanti alla crescita di Moqtada al Sadr — leader sciita ora sganciato dal sistema di connessioni della resistenza.

“È saltato il tappo, ora il rischio di un’escalation è davvero concreto, perché con l’eliminazione di Soleimani è stato ucciso colui che aveva un visione pragmatica degli equilibri regionali e riusciva a tenere insieme i pezzi del puzzle tra rivali”, commentava su queste colonne Nicola Pedde (Igs) a caldo, nel giorno dell’assassinio di Soleimani. A distanza di due anni, le parole di Khazali parlano di questo contesto che si sta creando.

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