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La commissaria Margrethe Vestager può tirare un sospiro di sollievo. La sentenza del Tribunale dell’Unione europea ha confermato la multa di 2,42 miliardi di euro inflitta a Google, respingendo il ricorso presentato dall’azienda. Nel 2017, la commissaria alla Concorrenza aveva sanzionato Alphabet, di proprietà di Google, per aver abusato dei suoi servizi Shopping e aver agito in modo sleale nei confronti della concorrenza. Il servizio, infatti, appariva sempre come prima scelta nel motore di ricerca a discapito delle altre realtà. La condanna da parte della Vestager seguiva la linea dura della commissaria contro le Big Tech e la decisione del Tribunale del Lussemburgo sarà sicuramente usata dalla Commissione per rafforzare la sua strategia politica, anche se il tema era ovviamente molto circoscritto a una determinata condotta.

“Google si è allontanata dalla concorrenza del merito”, hanno sottolineato i giudici che hanno riconosciuto “la natura anticompetitiva della pratica in questione”, riscontrando così “effetti dannosi per la concorrenza”. Come si legge nella nota pubblicata subito dopo la sentenza, all’azienda di Mountain View non è stata riconosciuta alcuna giustificazione per il suo operato. I tentativi di Google di dimostrare la sua buona fede e quelli di ritenersi in concorrenza equa con altre piattaforme come Amazon e eBay sono caduti nel vuoto. Ergo, sarà costretta a pagare interamente la cifra imposta quattro anni fa.

Da oggi, quindi, si aprono nuovi scenari. Per l’Unione europea, la sentenza rappresenta un riscontro positivo nella sua lotta alle grandi società Tech dopo una serie di sconfitte davanti ai giudici europei (vedi i casi Apple/Irlanda e Amazon/Lussemburgo). Quella da 2,42 miliardi di euro è solo una delle multe che Bruxelles ha comminato a Google. In ballo rimangono ancora l’accusa di aver operato in modo dominante sul mercato, costringendo i costruttori di smartphone con sistema Android a favorire i servizi di Google rispetto a quelli dei rivali (per cui l’Ue ha previsto una sanzione da 4,34 miliardi di euro) e quella inerente all’uso improprio della pubblicità sul web (1,49 miliardi di euro), senza contare la causa aperta lo scorso giugno sempre in merito alle inserzioni online.

Insomma, per l’azienda di Sundar Pichai il confronto con le istituzioni europee è solo all’inizio, fermo restando che Google può sperare di ribaltare l’esito della sentenza appellandosi al massimo organo giuridico dell’Unione, la Corte di Giustizia, il cui parere ha valore definitivo. Intanto festeggiano alcune aziende concorrenti – come Yelp e Kelkoo – che hanno subìto il predominio di Google. Da oggi avranno un’arma in più da poter utilizzare a loro favore.

Ma Google non deve affrontare solo i regolatori europei o le società rivali. Nell’ultimo anno sono stati aperti tre contenziosi antitrust negli Stati Uniti, come quello del luglio scorso sulle commissioni per le applicazioni.

Il tutto segue una logica precisa. Unione europea e Usa, infatti, stanno da tempo cercando un accordo (molto difficile) per regolare di comune accordo le grandi aziende tecnologiche. Anche per tale ragione, le cause contro le Big Tech si stanno moltiplicando e le decisioni dei giudici assumono un valore differente rispetto al passato. Il Tribunale del Lussemburgo non ha lasciato alcuna riserva sulla (prima) sentenza contro Google. In attesa del ricorso – scontato – da parte dell’azienda, questa notizia non fa stare tranquilli neanche Apple, Microsoft e Amazon, costantemente sotto il tiro delle istituzioni europee.

Vestager vince il primo round contro Google

Dopo una serie di sconfitte davanti ai giudici del Lussemburgo (vedi i casi Apple/Irlanda e Amazon/Lussemburgo) la commissaria Vestager porta a casa una vittoria contro il gigante delle ricerche online, che si prepara ad appellare la decisione. Gli altri contenziosi aperti in Europa e non solo

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