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Ordigni nucleari, bombe sporche e attacchi chimici. I rischi che la guerra in Ucraina possa portare a un’escalation nell’utilizzo di queste armi non convenzionali da parte della Russia è sempre presente. Fondamentale, dunque, cercare di capire gli effetti che l’utilizzo di simili strumenti potrebbe avere sul territorio e sulla popolazione. Federica Dall’Arche, senior research associate al Vienna center for disarmament and non-proliferation, spiega ad Airpress la diversa natura delle minacce non convenzionali e i potenziali impatti nei moderni scenari internazionali.

Il prolungarsi del conflitto può aumentare la possibilità che la Russia faccia uso di armi non-convenzionali, biologiche o nucleari tattiche?

Non credo sia il prolungamento del conflitto, in quanto tale, ma la possibile percezione di imminente sconfitta o di un devastante attacco sul proprio territorio che potrebbe indurre Putin a commettere atti di “disperazione” e quindi a ricorrere a ordigni nucleari, che siano essi tattici o strategici. In una recente intervista per la CNN, il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha infatti dichiarato che la Russia ricorrerebbe all’atomica solo nel caso in cui il Paese si trovasse di fronte a “minacce esistenziali”. Bisognerebbe tuttavia capire cosa viene inteso per minaccia esistenziale. Meno certo e meno rassicurante è il pronostico sul possibile utilizzo di armi chimiche e biologiche. L’utilizzo di armi chimiche o biologiche in scenari di guerra, infatti, non è nulla di nuovo purtroppo. Lo abbiamo visto di recente in Siria dove, a partire dal 2012, agenti chimici sono stati sistematicamente utilizzati sul territorio, come confermato dall’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche e da Human Rights Watch.

Che differente impatto avrebbe l’uso di armi chimiche o di cosiddette “bombe sporche”?

Con armi sporche o “dirty bombs”, formalmente Radiological dispersive devices (Rdd), si fa riferimento a delle armi rudimentali che utilizzano materiale radioattivo, che può trovarsi in ospedali, o centri di ricerca, ad esempio. Queste sono in genere armi improvvisate, spesso utilizzate da attori non statali più che da Stati, con un livello di sofisticazione molto basso, al contrario delle comuni armi di distruzione di massa (biologiche, chimiche, nucleari), che invece vengono create in laboratorio. Le Rdd, come le armi chimiche e biologiche, non hanno lo stesso potere distruttivo delle armi nucleari e i loro effetti sono generalmente limitati nel tempo, circoscritti a un territorio, e limitati alla popolazione colpita.

Invece, l’utilizzo di un’arma nucleare tattica o strategica?

L’utilizzo di un’arma nucleare, sia tattica sia strategica, avrebbe effetti devastanti e decennali/centenari sul territorio e sulla popolazione. Il livello di contaminazione e distruzione ovviamente dipende dal potere distruttivo dell’arma, che è calcolato in “yield”. Un’arma nucleare tattica, progettata per colpire target militari, può avere uno yield di pochi kilotoni, mentre un’arma nucleare strategica, progettata con lo scopo di annientare completamente il nemico distruggendo città, infrastrutture ed economia, può arrivare ad un yield pari a 50 megatoni. Per intenderci, le bombe sganciate su Hiroshima e Nakasaki avevano uno yield di 15 e 20 kilotoni, che sono paragonabili all’esplosione di circa 15mila/20mila tonnellate di esplosivo trinitrotoluene (Tnt) – la bomba convenzionale (non nucleare) più potente usata durante la Seconda guerra mondiale utilizzava solamente circa dieci tonnellate di esplosivo. L’utilizzo di una moderna arma nucleare strategica di 50 megatoni (ovvero oltre 3mila volte più potente della bomba lanciata su Hiroshima) potrebbe generare un numero di vittime stimato a circa sei milioni se lanciata su una città densamente abitata come Londra.

Dall’atomica alle bombe sporche. I rischi in Ucraina secondo Dall’Arche

L’impatto di una bomba nucleare, sia tattica sia strategica, avrebbe effetti devastanti, con ricadute anche secolari. Il rischio è che messa alle strette, la Russia possa ricorrere a questi e altri tipi di armi non convenzionali “per disperazione”. L’intervista di Airpress a Federica Dall’Arche, senior research associate al Vienna center for disarmament and non-proliferation

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