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Joe Biden può cominciare a mettere in fresco uno spumantino, ma non uno champagne. Il piano pandemico di aiuti per l’infanzia, i lavoratori e le famiglie può forse dirsi cosa fatta, grazie all’accordo tra democratici e repubblicani al termine di estenuanti colloqui nel week end. Ma la vittoria della Casa Bianca contro un fronte repubblicano che meno accomodante di così non poteva essere, è in realtà zoppa. Biden può scordarsi i 3.500 miliardi di aiuti sulla carta, la convergenza tutta politica si è fermata a poco meno di 2 mila miliardi.

Il prezzo della trattativa, per ammansire soprattutto i senatori dem Joe Manchin e Kyrsten Sinema, che non ne volevano sapere di appoggiare la proposta di Biden. Come noto due voti sono tanti al Senato, di cui i democratici non hanno un controllo di fatto, al punto che spesso l’approvazione dei provvedimenti si gioca sul voto della vicepresidente Kamala Harris. A dare quasi per certo l’accordo sul piano pandemico è stata la speaker della Camera, Nancy Pelosi, che proprio in queste settimane si è spesa per il raggiungimento di un intesa trasversale.

“Abbiamo il 90% del disegno di legge concordato e scritto, abbiamo solo alcune delle ultime decisioni da prendere”, ha detto Pelosi a State of the Union sulla Cnn. Attenzione però, ci sono due incognite che gravano sulla fase operativa degli aiuti alle famiglie americane devastate dalla pandemia. Primo, l’innalzamento del detto del debito federale, scongiurato solo poche settimane fa ma fino al 31 dicembre. Poi, bisognerà rimettersi intorno a un tavolo per evitate che gli Stati Uniti risultino insolventi dinnanzi ai creditori esteri che comprano debito e di fatto finanziano, parzialmente, la spesa pubblica americana per la parte non coperta dalle tasse.

Già, le tasse. Biden, non è un mistero, ha sempre sposato la causa di un aumento fiscale per sostenere le misure pandemiche. Come? Incrementando le aliquote sui profitti delle major dal 21 al 28%. Fumo negli occhi dei repubblicani. La partita non è chiusa, l’intesa fiscale è lontana anche perché nel frattempo è sopraggiunta la minimum global tax al 15% sugli utili delle imprese che fatturano più di 750 milioni all’anno. E la sensazione che la tassa flat su scala planetaria possa frenare gli entusiasmi dei democratici in materia di stretta fiscale è forte.

E pensare che secondo un’indiscrezione del Financial Times, lo staff di Biden starebbe prendendo in considerazione una serie di nuove misure, tra cui un’imposta sulla ricchezza destinata ai 600 miliardari statunitensi e un’imposta minima nazionale sulle società più grosse. Stratagemma, alternativa, scappatoia? Si vedrà.

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