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È davvero un terremoto quello che scuote le aule di Camera e Senato sulle pensioni dei parlamentari? La soglia di quattro anni, sei mesi e un giorno di mandato effettivo per poter riscattare la pensione sarebbe infatti decaduto, a una condizione, ossia che chi non lo raggiunge paghi i contributi mancanti per il suo raggiungimento, in modo che sia un’operazione a costo zero.

La notizia, data questa mattina da Francesco Verderami sul Corriere della Sera, spariglierebbe le carte di chi sottolinea quanto i parlamentari di prima elezione saranno determinanti per eleggere il prossimo Presidente della Repubblica e per garantire la stabilità del governo, legata a doppio filo all’incentivo economico dato dal raggiungimento di questi limiti temporali, che ora con le sentenze emesse dal Consiglio di giurisdizione di Montecitorio e dal Consiglio di garanzia di Palazzo Madama, scrive Verderami, non sarebbero più così vincolanti. Notizia peraltro smentita nel pomeriggio dal Consiglio di giurisdizione della Camera dei deputati: in realtà, scrive in una nota il Consiglio, “quella sentenza non esiste”. Eppure la pensione non è l’unico incentivo a non far finire la legislatura in anticipo.

Dal 2012, il vitalizio spettante agli eletti in Parlamento a fine mandato si è trasformato in un trattamento pensionistico simile a quello di altre categorie di lavoratori, ma con un vincolo: quello di essere stato in carica almeno per una legislatura, che corrisponde appunto a quattro anni, sei mesi e un giorno.

Come riportava l’Osservatorio Cpi, dati i criteri della riforma i neoeletti della XVIII legislatura prenderebbero la pensione se le camere si sciogliessero dopo il 24 settembre 2022. Alla Camera i neoeletti sarebbero il 71% (446 deputati) e al Senato il 76 % (244 senatori), tutti in qualche modo incentivati a far durare la legislatura fino al fatidico 24 settembre 2022. Il gruppo parlamentare con la maggior percentuale di neoeletti risulta essere “la Lega: 123 su un totale di 133 deputati (92%). A pari merito troviamo Coraggio Italia con 22 neoeletti su 24, seguiti dal gruppo parlamentare di Fratelli d’Italia con una percentuale dell’89% (33 neoeletti su 37 deputati) Liberi e Uguali e il Partito Democratico risultano invece i gruppi parlamentari con la più bassa percentuale di neoeletti (rispettivamente 42% e 44%) e gli unici gruppi parlamentari con un valore al di sotto del 50%”. Il gruppo del Movimento 5 Stelle ha una percentuale di neoeletti del 70% (111 su 159).

Come sottolineato a più riprese da Alessandro Gonzato su Libero, tra i neoeletti particolarmente “incollati alla poltrona” sarebbero molti dei parlamentari approdati al Gruppo Misto della Camera dopo l’espulsione o l’uscita dal Movimento 5 Stelle. Molti di questi, infatti, prima di entrare in Parlamento avevano guadagni bassissimi, con una forbice prima/dopo che in alcuni casi va da 0 a oltre 100mila euro di reddito lordo. Per questi eletti, sarà sufficiente l’incentivo della possibilità di riscatto della pensione per staccare la spina al governo? Oppure non vorranno rinunciare ai circa 120mila euro lordi che possono portare a casa restando in Parlamento per un altro anno abbondante?

È utile considerare, inoltre, che tra i benefici previsti per i Parlamentari si contano, oltre appunto all’indennità mensile di circa 5000 euro, i rimborsi di spesa, tra cui la diaria di 3.500 euro, il rimborso forfettario delle spese generali di 1.650 euro e ancora il rimborso delle spese per l’esercizio del mandato (per il Senato 2.090 euro – sottoposta a rendicontazione quadrimestrale – e in una ulteriore quota di 2.090 euro mensili erogata forfettariamente. Per la Camera, invece, 3.690 euro, 50% forfettario e 50% sottoposto a rendicontazione). Da aggiungere, ancora, le tessere per la libera circolazione valide per tutti i mezzi di trasporto, il rimborso delle spese telefoniche.

Benefici a cui non tutti i parlamentari, nonostante la possibilità di riscuotere ugualmente la pensione, sarebbero disposti a rinunciare.

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