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Con l’entrata in vigore del decreto governativo del 13 ottobre le manifestazioni del sabato vedono sfilare, assieme al cosiddetto popolo No vax, il neonato popolo No green pass. Le due componenti non coincidono, dato che solo parte di critici e oppositori del certificato verde sono No-Vax. Ne potrebbero derivare prese di distanza e anche tensioni; finora ciascuna componente ha avuto interesse a confluire con l’altra per rafforzarsi. Con istanze e parole d’ordine anche molto diverse, assieme orchestrano un concerto protestatario che, pur dissonante, produce  un effetto comunicativo politicamente  disturbante.

Prive di un’identità propria, le due componenti sono definite soltanto in negativo,  da un principio di opposizione.  Si obietterà che non è così, che non sono soltanto contro, che sono anche per: contro il vaccino, contro il green pass, ma anche per la libertà. Di più, si dirà che si è contro quei provvedimenti governativi perché si è per la libertà. Declinato nelle versioni più ibride e contraddittorie, è questo in effetti il principale leitmotiv addotto a giustificare rifiuti e rivendicazioni. Occorre allora capire di quale libertà si tratti, a quale libertà si faccia riferimento.

Capirlo è necessario anche considerato come appellarsi alla libertà appaia a molti così paradossale e sconcertante da essere incomprensibile. A ciò contribuiscono la diffusione in rete di messaggi e l’esibizione in piazza di slogan e immagini, tanto iperboliche da essere risibili e grottesche, intese a bollare come dittatoriali i provvedimenti sanitari e a identificare governanti e scienziati con Hitler, la Shoah e le SS.

A prima vista la concezione no-vax (e, nelle espressioni più radicali, no green pass) parrebbe riconducibile a uno dei due concetti di libertà definiti da Isaiah Berlin: quello di libertà negativa. In tale accezione si è liberi nella misura in cui non si è ostacolati, non si è soggetti a limiti. Sotto questo profilo non v’è dubbio che misure sanitarie come la vaccinazione e il certificato verde comportino limitazioni della libertà. Ma è altrettanto certo che la libertà è soltanto apparente se il soggetto evita, per fideismo o indifferenza, di valutare il rischio o lo fa in un modo avulso dalla realtà. È quanto si osserva nelle posizioni più radicali di chi nega la validità dei vaccini e, spesso, di chi pur riconoscendola si oppone alle misure di protezione sanitaria. In questi casi a manifestarsi nelle scelte e nei comportamenti è un’accezione fatalistica della libertà negativa.

La prova che la concezione no-vax è fatalistica è data dalla negazione sistematica del nesso di causalità tra fatti acclarati, come quello tra l’aumento delle vaccinazioni e la diminuzione dei contagi, specie di quelli gravi. La negazione ripetuta dell’evidenza si accompagna all’assunzione di atteggiamenti e comportamenti fatalistici. Da qui si comprende come una simile concezione di libertà dia luogo a irresponsabilità e sia rivendicata nel tentativo di legittimare scelte irrealistiche. Nei No-Vaxxers (e in parte dei No-Green pass) si osserva così la compresenza di negazionismo e complottismo. Dato che l’uno dispone soggettivamente alla casualità più aleatoria e l’altro alla causalità più deterministica, la coesistenza parrebbe paradossale. Non lo è per un duplice motivo: essere, negazionismo e complottismo, due facce del fatalismo ed  essere funzionalmente complementari. Pervicacemente alimentate da false notizie, le due disposizioni si sostengono e si alternano nei più vari modi, tutti refrattari ai requisiti del realismo e della logica.

Fatalismo e complottismo sono collegati. Il primo porta il soggetto a pensare e agire nell’implicita convinzione di non poter influire sulle sorti proprie e del mondo, piccolo o grande che sia, e, non potendovi fare nulla, di dover stare agli eventi; il secondo gli offre facili giustificazioni. L’uno presuppone l’imprevedibilità, l’altro l’incontrollabilità. Tanto più l’individuo avverte di non poter prevedere e costruire il proprio futuro, quanto più è ricettivo a messaggi e credenze complottistiche. Tradizioni culturali a parte, alla base del fatalismo vi è uno stato di debolezza personale e sociale, reale o percepita, che dispone a credere nell’operare di entità aliene e potenti.

Per chi voglia negare non i decessi, come non di rado accade, ma la loro dipendenza dal coronavirus e, di conseguenza, la necessità, in toto o in parte, di limitazioni personali per fini sanitari, un nesso di causalità deve comunque essere addotto: da qui il ricorso allo schema del complotto. La spiegazione complottistica, nelle sue molteplici declinazioni serve a giustificare il rifiuto del vaccino e dei risultati della scienza biomedica. È un meccanismo socio-cognitivo – spontaneamente o politicamente attivato – che si osserva, in forme attenuate o meno, anche nelle file dei No-Green pass vaccinati.

Nelle forme più acute questa sindrome extra e anti-istituzionale, propria di un individualismo libertario anarchico, oppone la libertà individuale alla sicurezza collettiva, quando in situazione di pandemia questa ne è per contro una condizione necessaria. Non riconoscerlo è sia in parte opera di gruppi estremisti, soprattutto di destra, sia un’opportunità a essi offerta per infiltrare e pilotare politicamente manifestazioni e rivendicazioni. A ben vedere è una conferma del rapporto tra fatalismo e potere, cioè di come fatalismo e complottismo potenzialmente favoriscano la sottomissione a un controllo manipolatorio e dispotico.

La contraddizione della libertà no-vax

La prova che la concezione no-vax è fatalistica è data dalla negazione sistematica del nesso di causalità tra fatti acclarati, come quello tra l’aumento delle vaccinazioni e la diminuzione dei contagi, specie di quelli gravi. L’analisi di Paolo Ceri, ordinario di Sociologia all’Università di Firenze

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