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Il dibattito pubblicistico sull’intervista ad ampio spettro concessa da Giancarlo Giorgetti a La Stampa di Torino si è concentrato soprattutto sulla parte riguardante i rapporti interni alla Lega. Eppure, secondo me la parte più rilevante è quella che concerne l’elezione, a inizio del nuovo anno, del prossimo Presidente della Repubblica, vero punto di svolta degli equilibri di sistema per il nostro Paese.

Un argomento così sensibile che risulta difficile pensare che l’uomo che viene dato fra i più vicini a Mario Draghi abbia agito in totale autonomia. Non arrivo a dire, ovviamente, che egli abbia concordato con Draghi stesso l’uscita, ma che non abbia tenuto presente gli umori colti a Palazzo Chigi è difficile negarlo. Dimodoché si può forse dire che la sua mossa è la prima uscita significativa in quel gioco di posizionamenti e riposizionamenti, affermazioni pubbliche e contatti informali o addirittura segreti, che in vista dell’elezione prossima attendono uomini e forze politiche.

In sostanza, a me pare che Giorgetti abbia voluto sondare la possibile convergenza sul nome di Draghi già ora. Ha perciò prima di tutto cercato di eliminare due ostacoli: da una parte, l’idea di una ricandidatura di Sergio Mattarella giustificata dalla necessità per il Paese che Draghi porti a termine il suo lavoro, già molto bene impostato e avviato in questi mesi; dall’altra, l’ostacolo di una candidatura di Silvio Berlusconi da parte del segretario del suo partito, parte forse di un più ampio accordo in vista di un’eventuale Federazione futura fra Lega e Forza Italia.

Sul primo punto, Giorgetti ha dato rassicurazioni: Draghi comunque continuerebbe a svolgere dal Colle più alto un ruolo di controllo e garanzia, anche e soprattutto nei confronti dell’Europa. Anzi diventerebbe un po’ per l’Italia quello che fu a suo tempo Charles De Gaulle per la Francia.

In merito, al secondo punto, a parte l’ingenerosa frase verso Matteo Salvini (ammesso e non concesso che sia stata riportata fedelmente) che farebbe il nome di Berlusconi per non occuparsi di “cose serie”), credo che la questione vada posta in questi termini.

È vero, voglio dire, che la possibilità di successo di una candidatura del Cavaliere è al momento minima (fra l’altro anche Giorgia Meloni non ne è convinta), ma essa va in prima istanza fatta dal centrodestra anche per una forma di rispetto verso l’uomo e per quello che ha comunque rappresentato per l’Italia.

In ogni caso, è chiaro che ciò non preclude, anzi esige, che si lavori contestualmente per un piano b. Può essere Draghi l’uomo che soddisfa un po’ tutti? Probabilmente sì. Ma che i partiti, soprattutto quelli di sinistra, si ritengano pronti per affrontare le elezioni politiche subito (a parte la solita Meloni sembra che nessuno le voglia e tutti le temano), è tutto da vedere.

I risultati che usciranno dall’importante tornata elettorale di domenica e lunedì prossimi (e dal ballottaggio del 17) chiariranno non poco su questo non secondario elemento. Intanto, Giorgetti ha lanciato il primo sasso nello stagno.

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