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Giochi pericolosi. “I partiti populisti italiani che fanno causa comune con la Russia di Putin commettono un grave errore”. Parola di Fiona Hill, tra le massime esperte mondiali di Russia, una vita nell’intelligence americana e poi alla Casa Bianca, prima con George Bush e Barack Obama, poi a capo degli affari europei ed euroasiatici del National Security Council con Donald Trump.

Ospite di Formiche, con cui ha presentato il suo ultimo libro autobiografico “There is nothing for you here” (Mariner Books) insieme alla direttrice di Aspenia ed ex viceministra degli Esteri Marta Dassù, Hill ha messo in guardia l’Italia di Mario Draghi, in questi giorni impegnata a presiedere il G20 di Roma. “Con Putin non si può essere naïve – dice l’ex consigliera, oggi Senior Fellow alla Brookings Institution – l’Italia è ancora un target dell’intelligence e del governo russo”.

Le prove non mancano: lo scorso marzo, a un mese dall’insediamento di Draghi, veniva arrestato a Roma l’ufficiale della Marina Walter Biot, sorpreso a vendere segreti Nato a due agenti dei Servizi russi. Né è un mistero che la capitale sia un crocevia di uomini del Cremlino sotto copertura, dagli 007 ai tanti oligarchi che hanno affari e interessi in Italia, come spiega bene l’ultimo libro di Jacopo Iacoboni e Gianluca Paolucci, “Oligarchi” (Laterza).

La diplomazia, spiega Hill, è un altro conto: “Capisco perfettamente che l’Italia voglia mediare con la Russia, fa parte della sua storia, lo faceva anche ai tempi dell’Impero zarista”. I problemi nascono quando la mediazione diventa collusione politica. “In alcuni partiti italiani manca consapevolezza. Putin non usa solo gli agenti segreti o i ransomware per influenzare la politica italiana. Le convention e le kermesse con i partiti russi sono un altro strumento, e sottovalutarle è un errore. Dopotutto era lo stesso metodo di Stalin: invitava a Mosca i partiti comunisti sparsi nel mondo e li usava come veicoli di influenza politica”.

Hill parla per esperienza. Nel libro racconta di aver incontrato Putin più volte nell’ambito di riunioni di esperti internazionali di Russia convocati all’ombra del Cremlino, ufficialmente per discussioni sulla politica internazionale. Quelle al Valdai Club, spiega, “rientravano in uno sforzo aperto del Cremlino di influenzare l’opinione degli accademici e dei commentatori occidentali sulla Russia di Putin”.

Lo stesso rischio, avvisa oggi, si presenta con i partiti che stringono rapporti ufficiali con il governo russo. È successo con la Lega di Matteo Salvini, che nel 2017 ha firmato un’intesa con il partito di Putin, Russia Unita, poi rinnovata per le rispettive sezioni giovanili e ancora in vigore. “Negli anni l’intervento russo nei nostri sistemi politici è diventato più evidente. Paesi come Italia, Francia o Germania non sono meno vulnerabili alla manipolazione dell’Ucraina o di altre repubbliche ex sovietiche”.

Anche le operazioni di intelligence, dice Hill, si sono fatte più “spudorate”. “Prendiamo l’avvelenamento di Skripal del 2016, un caso di spionaggio contro una spia. Gli operativi russi hanno riempito di Novichok una boccetta di profumo, bastava per assassinare 4000 persone. Poi l’hanno gettata in un cesto per i poveri. Una donna con il fidanzato l’ha trovata, l’ha spruzzata ed è morta. Tutta la città è stata contaminata. Ieri era Salisbury, domani potrebbe essere Pisa”. Per Hill una soluzione drastica quanto necessaria è “espellere subito tutti gli operativi di intelligence” colti in Italia e negli altri Paesi europei a sottrarre segreti.

Sottovalutare la penetrazione russa nel sistema politico è un rischio che corrono ancora oggi gli Stati Uniti. Alla Casa Bianca non c’è più Trump, contro cui Hill ha testimoniato in una ormai celebre udienza del primo processo di impeachment per il caso “Ucraina-gate”, e tuttavia la minaccia rimane. “Anche la nostra democrazia sta abbassando la guardia. Biden ha reso il Paese più resiliente, ma è in difficoltà sul fronte interno e non tutti i partiti comprendono il rischio che ha corso la democrazia americana il 6 gennaio scorso”. Tanto che l’ipotesi di una candidatura di Trump nel 2024 è ancora in campo. “Non ha la maggioranza del Paese, ma ha dalla sua una minoranza molto forte fra i repubblicani. Tanti nel partito non lo sopportano, ma sono disposti a rieleggerlo per dare un dispiacere ai democratici”.

 

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