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Sorpresa: il messaggio di papa Francesco per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali è dedicato all’ascolto. Dovrebbe essere l’essenza di ogni comunicazione, del giornalismo, dell’informazione. Eppure la constatazione che nella rilevanza ormai data da anni al problema migratorio non ci sia il racconto delle loro storie, le storie dei migranti, è la riprova lampante che Francesco coglie un punto drammatico. Non si tratta di imporre un punto di vista, ma solo l’ascolto delle loro storie, della realtà, potrebbe bucare un racconto ideologico che li rappresenta come nuovi invasori. Ne seguirebbe una consapevolezza della realtà davanti alla quale il dibattito, libero da pregiudizi, ruoterebbe attorno a proposte afferenti a una realtà non più deformata da rappresentazioni ideologiche lontane dai fatti della realtà.

Questo riferimento al fatto che “non sono invasori” lo fa Francesco e induce a riflettere su quanto sia profonda la separazione tra realtà, cioè racconto di storie, e rappresentazione della realtà, cioè diffusione di ideologie: “La mancanza di ascolto, che sperimentiamo tante volte nella vita quotidiana, appare purtroppo evidente anche nella vita pubblica, dove, invece di ascoltarsi, spesso ‘ci si parla addosso’. Questo è sintomo del fatto che, più che la verità e il bene, si cerca il consenso; più che all’ascolto, si è attenti all’audience. La buona comunicazione, invece, non cerca di fare colpo sul pubblico con la battuta ad effetto, con lo scopo di ridicolizzare l’interlocutore, ma presta attenzione alle ragioni dell’altro e cerca di far cogliere la complessità della realtà. È triste quando, anche nella Chiesa, si formano schieramenti ideologici, l’ascolto scompare e lascia il posto a sterili contrapposizioni”. Non è quello che accade in queste ore con la drammatica polemica sul rapporto sugli abusi nella Diocesi di Monaco? Le vittime scompaiono, le omertà divengono schieramento, attacco strumentale a questo o quello. Chi ascolta chi ha sofferto, chi è stato abusato, dimenticato?

Il messaggio sceglie gli occhi sgranati di un bambino come metodo per l’ascolto: non c’è ascolto senza partecipazione emotiva. Dunque è un mettersi davanti a quello che accade con la sorpresa partecipe di chi scopre la realtà e la accoglie, la osserva, la fa sua.

C’era un tempo in cui sapevamo poco ma pensavamo di aver capito tutto. Oggi invece sappiamo tutto, siamo sommersi di informazioni, tutti comunichiamo e creiamo comunicazione per via dell’accesso di ognuno ai social, ma non capiamo nulla di nuovo, perché gli algoritmi selezionano i messaggi che ci arrivano, che qualcuno sceglie per noi. E come li sceglierà? Sulla base del fatto che ci corrispondono. Corrispondono al nostro desiderio di interpretazione della realtà. Così finiamo come chiusi in una bolla in cui le idee si confermano a prescindere dai fatti. Il problema che emerge non è quello di tornare indietro, a quando tutto ciò non esisteva, ma di bucare la bolla, per entrare nel vasto mondo dei diversi punti di vista, dei diversi racconti, e navigare nella realtà reale, non in quella autoaffermativa e celebrativa delle bolle.

Non può non colpire che Francesco abbia la capacità di descrivere un ascolto completamente diverso da quello prevalente, l’ascolto omologato e omologante dei gruppi chiusi e lo fa parlando di sé, della sua Chiesa: “È stato da poco avviato un processo sinodale. Preghiamo perché sia una grande occasione di ascolto reciproco. La comunione, infatti, non è il risultato di strategie e programmi, ma si edifica nell’ascolto reciproco tra fratelli e sorelle. Come in un coro, l’unità non richiede l’uniformità, la monotonia, ma la pluralità e varietà delle voci, la polifonia. Allo stesso tempo, ogni voce del coro canta ascoltando le altre voci e in relazione all’armonia dell’insieme. Questa armonia è ideata dal compositore, ma la sua realizzazione dipende dalla sinfonia di tutte e singole le voci. Nella consapevolezza di partecipare a una comunione che ci precede e ci include, possiamo riscoprire una Chiesa sinfonica, nella quale ognuno è in grado di cantare con la propria voce, accogliendo come dono quelle degli altri, per manifestare l’armonia dell’insieme che lo Spirito Santo compone”.

Il messaggio arriva nelle ore in cui l’Italia si confronta con l’elezione del Presidente della Repubblica, un’occasione in cui storicamente il Palazzo sembra ascoltare se stesso. È un Palazzo inascoltabile da noi quello che ascolta se stesso, le sue pulsioni e le sue strategie, mentre la Chiesa impegnata nel sinodo di Francesco sembra protesa all’ascolto del mondo nel quale vive. Questo ascolto oggi le richiederebbe di mettersi le scarpe e uscire nell’ascolto della realtà, non di rintanarsi nella sua rappresentazione. Bergoglio va dritto al cuore di questo citando ancora una volta un grande teologo protestante, Bonhoeffer: “Noi dobbiamo ascoltare attraverso l’orecchio di Dio, se vogliamo poter parlare attraverso la sua Parola”.

Francesco e la centralità dell’ascolto, in un mondo che si parla addosso

Per la cinquantaseiesima Giornata mondiale delle comunicazioni sociali Bergoglio ha dedicato il suo messaggio all’ascolto. Un ascolto che vale soprattutto per il problema migratorio e del racconto che ne viene fatto. Non si tratta di imporre un punto di vista, ma solo con l’ascolto delle loro storie, della realtà si potrebbe andare oltre le ideologie

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