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Big data, ripresa economica. Ma anche politica, gestione della pandemia e contatto con i territori. Un libro “che parla di futuro, senza attaccare nessuno”. Il testo partorito con la consapevolezza che sarebbe stato in qualche modo un manifesto. ‘Il Paese che vogliamo’, per l’autore Stefano Bonaccini, è un distillato di fiducia. Proposte, idee, rivendicazioni di risultati ottenuti. Con un punto fisso ben definito, già dalle prime righe. “Se l’Italia assomigliasse un po’ di più all’Emilia-Romagna, sarebbe un Paese migliore”.

Ieri il governatore ha deciso di ripartire dalle frazioni. Il lungo tour che lo sta portando in giro per l’Italia ieri ha fatto tappa alla Festa dell’Unità di Pontelagoscuro, nella prima periferia di Ferrara. Al presidente emiliano-romagnolo piace partire dai numeri: è un pragmatico. “La media stimata di crescita per l’Italia – dice – è di circa sei punti percentuali nel 2021. Noi cresceremo di almeno un punto in più e, le previsioni, ci dicono che in due anni cresceremo di quasi undici punti percentuali. Vale a dire che la ripresa ci porterà a livelli di solidità economica migliori rispetto a quelli del 2019. Che già è stato un anno record”.

Ora è tempo di elezioni, anche in diversi comuni dell’Emilia-Romagna a partire proprio da Bologna. L’appuntamento elettorale è l’occasione per un balzo all’indietro. Alla vittoria delle Regionali. “Salvini e la Lega avevano preso tutte le Regioni – così il governatore – eppure noi ce l’abbiamo fatta. Se non altro, è servito a fargli smettere di suonare i campanelli”.

Tuttavia, qualche colpa il Pd ce l’ha. E il presidente le riconosce tutte, senza esclusione di colpi. “C’eravamo disabituati a scendere nelle piazze – dice – a stare in mezzo alla gente. Ed è per questo che siamo stati votati per la stragrande maggioranza dai centri cittadini. Avevamo dimenticato di stare in mezzo ai problemi e di condividerli con la nostra gente”. Va riconosciuto a Salvini invece “l’essere sempre andato in piazza, anche quando il partito era al 4%”.

Il nome del segretario del Carroccio viene fuori spesso durante la presentazione. Qualche imbarazzo a stare al governo con lui? “Nessun imbarazzo – risponde Bonaccini – si tratta di un Governo di unità nazionale. Poi, al momento delle elezioni, sarà naturale che ognuno prenderà la sua strada”. Al massimo “dovrebbe essere Salvini a sentirsi in imbarazzo a sostenere un governo che è ultra europeista, mentre lui fino a poco tempo fa girava con le magliette inneggianti l’uscita dall’Unione”. Su Mario Draghi nessun dubbio: “Occorre che rimanga al Governo il più possibile, a dispetto anche di qualche contrario all’interno dello schieramento dem”.

E’ un fiume in piena. Un oratore instancabile che, oltre alla prospettiva regionale, non si sottrae a ragionamenti che lambiscono i conventicoli romani. “Sono stato tra i primi – ricorda – a chiamare Letta chiedendogli di fare il segretario. D’altra parte, non ci potevamo permettere, con il Paese lacerato dalla pandemia, di indire un nuovo congresso. Secondo me il segretario sta facendo molto bene”. Anche se, una volta ancora, Bonaccini dice di trovarsi d’accordo con Romano Prodi. “Occorre che il Pd sia più incisivo, oltre che sui diritti civili a partire dal Ddl Zan, anche sui diritti sociali: lavoro in testa”.

La sintesi è “mai populisti, più popolari”. D’altra parte la sua idea di centrosinistra è quella di uno schieramento “allargato anche alle forze civiche a moderate”. E la prospettiva di alleanza con il Movimento 5 Stelle? “Se il Movimento prosegue su questa linea moderata e riformista, sotto l’egida di Conte saranno i nostri naturali alleati. Anche perché, attualmente, uno dei ministri con i quali lavoro meglio è proprio Luigi Di Maio”.

Il manifesto politico di Bonaccini e il futuro del centrosinistra

Il Governatore emiliano-romagnolo sta conducendo un tour in tutta Italia presentando il suo volume. “Il Pd si era dimenticato di scendere in piazza. Con Letta andiamo bene, ma occorre essere più incisivi sui diritti sociali”. E Draghi? “Occorre che rimanga al governo”

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