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Uscire dalla crisi del traporto aereo è possibile, ma solo con ingenti risorse pubbliche e una maggior armonizzazione degli approcci a livello europeo. Ne è convinto Alessio Quaranta, direttore generale dell’Enac (l’ente nazionale per l’aviazione civile) che lo scorso lunedì è stato eletto per acclamazione nuovo presidente della European civil aviation conference (Ecac), succedendo così ai due mandati dello svedese Ingrid Cherfils. Dal 1955, anno di fondazione dell’organizzazione europea, solo un’altra volta l’Italia aveva rivestito l’incarico più rilevante. L’Ecac riunisce 44 Paesi con l’obiettivo di promuovere il sistema del trasporto aereo europeo in maniera sicura ed efficiente, e di armonizzare le politiche nel settore tra gli Stati membri. Obiettivi che ora si preannunciano più urgenti, data la crisi da Covid-19 che ha colpito il comparto, con stime che prevedono il ritorno al traffico pre-pandemico solo nel 2025. Ci sono però i presupposti per ripartire.

Direttore, come ha accolto la nomina al vertice dell’Ecac?

Sarei falsamente modesto se non dicessi che ovviamente mi fa molto piacere. È una nomina legata al fatto che ricoprivo da tempo la posizione di vice presidente nella stessa organizzazione, e dunque è stata quasi un’evoluzione naturale. Cionondimeno fa piacere. Sarei altrettanto poco onesto se non dicessi che è stata possibile grazie ai risultati raggiunti dall’Enac in Europa. La nostra organizzazione nazionale si è sempre fatta valere all’estero, dando prova di grandi capacità. Non è un caso che esprima oggi non solo la presidenza dell’Ecac, ma anche dell’Icao con il suo ex vice direttore generale (Salvatore Sciacchitano, ndr). Tali risultati premiano l’individualità, ma non sarebbero possibili senza il supporto dell’organizzazione.

Tra le priorità del suo nuovo incarico ha detto di voler rafforzare la dimensione paneuropea dell’Ecac. In che senso?

L’Ecac è composta da 44 Paesi, 27 dei quali sono membri dell’Ue. La sua dimensione paneuropea viene subito all’occhio, così come la possibilità di spingere ancora in favore di una reale inclusività di tutto il continente. L’Ecac può essere un efficace trait d’union tra le modalità gestionali di un’organizzazione come l’Ue e le sue relazioni con altri Paesi, senza chiaramente togliere nulla alle relazioni bilaterali. L’Ecac è il foro dove liberamente discutere e pre-confezionare tutte le decisioni che, dal punto di vista comunitario, diventano obbligatorie nel contesto Ue grazie al suo potere regolatorio, e dall’altro (al di fuori dell’Ue) restano non obbligatorie, ma sono comunque cogenti per il fatto di essere state discusse e pre-confezionate in un ambiente comune. Ecco, credo che il vero valore dell’Ecac sia riuscire a fare in modo che il livello comunitario e quello non comunitario vadano di pari passo.

Perché è così importante l’aspetto internazionale?

Va considerato che il trasporto aereo ha poco senso in una dimensione limitata. Considerando le numerose tratte coperte ormai dall’alta velocità, l’Italia non avrebbe mai raggiunto il livello record di 182 milioni di passeggeri nel 2019 senza la dimensione internazionale. Anche l’Europa non ha l’estensione degli Stati Uniti, né il numero di abitanti della Cina. Dunque, il trasporto aereo europeo può essere efficiente solo mettendo a fattore comune le regole giuridiche, economiche e tecniche. Su questo l’Ecac ha un ruolo importante da svolgere. Pur senza atti vincolanti, può dettare la linea con cui porsi tutti insieme, soprattutto in un momento di grande difficoltà per il settore.

A proposito, come si esce dalla crisi da Covid-19 che si è abbattuta sul trasporto aereo?

Prima di tutto ripristinando la confidenza del passeggero nei confronti del sistema, facendo capire che il trasporto aereo è fondamentalmente sicuro. Lo era prima della pandemia, e lo è anche oggi. Nel 2020, secondo i dati Easa, si sono registrati sette contagi ogni centomila passeggeri a bordo di aeroplani, numeri infinitamente più bassi rispetto all’evoluzione generale della pandemia. L’aereo è il mezzo più sicuro.

Perché?

Credo per due ragioni. Primo, perché nessuno di noi è un criminale; chi sta male resta a casa, e se ha necessità di muoversi magari preferisce spostarsi con mezzi propri. Secondo, perché abbiamo messo una serie di filtri prima di arrivare a bordo dell’aeroplano, che rendono pressoché impossibile farlo a chi è sintomatico. Mi rendo conto che è difficile convincere i passeggeri che infilarsi in un tubo di plastica sia più sicuro che andare al supermercato, ma i dati ci dicono questo. Una volta ripristinata la fiducia dei passeggeri, sarà comunque fondamentale l’intervento pubblico.

Ci spieghi meglio…

Sarà impossibile uscire dalla crisi senza un robusto intervento pubblico, cosa che si sta facendo in Italia e in Europa. Servono ingenti risorse che vadano a compensare i danni prodotti dalla pandemia. Altrimenti, difficilmente potremmo vedere il settore ripartire.

La pandemia sembra comunque aver accelerato l’esigenza di innovazione. Per il trasporto aereo grande attenzione è rivolta al suborbitale. Perché?

Se ne parlava già prima del Covid-19. Da anni stiamo lavorando sul tema del suborbitale. L’Italia è stato il primo Paese in Europa a dotarsi di un regolamento per la certificazione di uno spazioporto e stiamo andando avanti con lo studio di ulteriori prodotti normativi. Uno di questo andrà a regolare l’area delle operazioni a terra. Un altro riguarderà le regole dell’aria, sostanzialmente le traiettorie. Il sito di Grottaglie è stato identificato da alcuni anni come primo spazioporto in Europa. Ora lavoriamo per avviare in tempi rapidi la sperimentazione. Parliamo di voli che, se messi in piedi, permetteranno di collegare l’Europa con la parte ovest degli Stati Uniti in circa un’ora e quaranta. Fino a pochi anni fa sembrava la trama di un film di fantascienza, ma presto potrebbe essere possibile. Inizialmente riguarderà gli esperimenti scientifici e il rilascio di satelliti. Credo che poi non ci vorrà molto per il trasporto merci punto-punto. Un po’ di più servirà per il trasporto passeggeri.

Un altro campo attenzionato è quello della “urban air mobility”…

Anche su questo si stava lavorando già prima della pandemia. È chiaro che il Covid-19 ha favorito la crescita esponenziale della domanda di trasporto delivery, accelerato dalla capacità di acquisto in rete. Anche perché si tratta di beni di consumo che hanno dimensioni spesso limitate per peso e spazio, e che dunque potrebbero in futuro comodamente arrivare sui terrazzi delle nostre case con i droni. Stiamo già studiando una serie di regole per tali aspetti. L’anno prossimo inizierà probabilmente la sperimentazione in Italia del trasporto di passeggeri con velivoli auto-guidate o guidate da remoto. Si partirà con un servizio taxi dal centro città all’aeroporto. Poi si passerà anche all’utilizzo delle aerovie.

Quale è l’aspetto più complesso di tale evoluzione?

Onestamente la preoccupazione maggiore riguardava inizialmente la reazione dei cittadini. Eppure, qualche mese fa l’Easa ha lanciato un’iniziativa, più sociologica che tecnica, selezionando una serie di città in Europa (per l’Italia Milano) e proponendo agli abitanti un sondaggio sul tema della advanced urban air mobility. È emerso non solo l’interesse verso tale sviluppo, ma anche l’aspettativa che avvenga in tempi rapidi. Si tratta d’altronde di sistemi che possono facilità la vita quotidiana. Anche qui la definizione di regole internazionali è importante. Sebbene si tratti di trasporto aereo “urbano”, non può che trarre beneficio dal proficuo scambio normativo oltre i confini nazionali.

Tra pochissimi giorni Enac presenterà il suo rapporto annuale. Può anticiparci qualcosa?

La presentazione del rapporto annuale è sempre un momento di bilanci e, per il direttore generale, anche piuttosto noioso (lo dico a mio detrimento) perché si tratta sostanzialmente di snocciolare dati. Per lo più, per quest’anno i dati sono davvero drammatici. Tra marzo e giugno dello scorso anno il traffico sul nostro Paese si è attestato a -99% rispetto allo stesso periodo del 2019. Il dato consolidato per l’intero 2020 è -75%.

Il presidente Pierluigi Di Palma ha anticipato che Enac chiederà il riconoscimento giuridico del settore aerospaziale. Perché?

Perché in questo settore la forma è sostanza per la sicurezza delle operazioni. Occorre un riconoscimento giuridico e formale del settore di riferimento, dagli ultraleggeri al suborbitale, che ponta le diverse attività in un contesto formale. Altrimenti, se isolate, tali attività hanno difficoltà a contribuire allo sviluppo complessivo del settore, spesso non parlando tra di loro, non per mancava di volontà, quanto perché hanno linguaggi diversi. Il riconoscimento giuridico del settore aerospaziale permetterebbe di far parlare lo stesso linguaggio e procedere verso uno sviluppo complessivo. È evidente che il settore è interdipendente e interdisciplinare.

Siamo alla conclusione, vuole aggiungere qualcosa?

Mi lasci dire, tornando alla recente nomina, una cosa che sento fortemente. Qualunque tipo di intervento pubblico in cui vengo coinvolto non posso non ringraziare tutto il personale dell’Enac per gli sforzi fatti, soprattutto in questo periodo. Senza di loro i tanti riconoscimenti conseguiti a livello internazionale non ci sarebbero stati.

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