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Il 29 gennaio scorso, nel giorno in cui Israele e India celebravano i 29 anni dall’apertura dei rapporti diplomatici, una bomba esplodeva – fortunatamente senza causare vittime, soltanto quando danno ad alcune automobili – nei pressi dell’ambasciata israeliana a Nuova Delhi. A distanza di cinque mesi, le autorità indiane hanno arrestato quattro studenti universitari a Kargil, una cittadina nel Ladakh, territorio a maggioranza musulmana nella zona himalayana dell’India, diventato nel 2019 autonomo dal Kashmir conteso tra India e Pakistan.

I quattro sono stati poi portati nella capitale. Si tratta dei fratelli Aiaz Hussain (28 anni) e Muzammil Hussain (25) e dei loro cugini Nazir Hussain (26) e Zulfikar Ali Wazir (25), tutti residenti a Kargil. Sequestrati quattro telefoni cellulari e un computer portatile.

Gli investigatori indiani hanno lavorato in questi mesi assieme al Mossad per ricostruire la rete degli autori dell’attentato, compiuto con un ordigno da 2,6 chilogrammi imbottito di pentrite (lo stesso esplosivo utilizzato spesso da Al Qaeda) e di pallini di piombo, fatto esplodere a distanza. Subito dopo l’esplosione, l’attacco era stato rivendicato da Jaish-ul-Hind, un’organizzazione terroristica indiana sospettata di legami con l’Iran. È lo stesso gruppo che avrebbe avuto un ruolo nella morte, avvenuta a marzo, dell’uomo d’affari Mansukh Hiran, piazzando un esplosivo sulla sua automobile.

Le indagini per l’attentato contro l’ambasciata israeliana a Nuova Delhi conducono proprio a Teheran. In particolare alla Forza Qods, una delle cinque componenti delle Guardie della rivoluzione iraniane, quella responsabile per le operazioni all’estero. E non soltanto perché accanto al cancello dell’ambasciata era stato trovato un biglietto che prometteva vendetta per le morti dei “martiri” Qassem Soleimani, comandante della Forza Qods, e Abu Mehdhi Al Muhandis, capo di una milizia irachena alleata di Teheran entrambi uccisi a Baghdad in un raid di droni statunitensi nel gennaio del 2020, e Mohsen Fakhrizadeh, fisico nucleare freddato a Teheran lo scorso novembre in un attacco attribuito al Mossad.

La cellula, di cui almeno uno dei componenti avrebbe studiato in Iran, sarebbe stata arruolata sul suolo indiano tramite la Al-Mustafa International University, istituzione iraniana con sede nella città santa sciita di Qom e presente in più di 50 Paesi (tra cui l’India), e gestita dal Pakistan da elementi della Forza Qods. A rivelarlo è il portale specializzato Intelli Times.

L’università a dicembre è stata messa sotto sanzioni dall’amministrazione statunitense per il suo ruolo proprio nel reclutamento per la Forza Qods di studenti pachistani e afgani per il conflitto in Siria. Il dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti ha definito l’università “una copertura” spiegando che la Forza Qods utilizza le sedi all’estero dell’istituzione come “piattaforma di reclutamento” per “la raccolta e le operazioni di intelligence”.

Dietro al fallimento dell’attentato ci sono due ipotesi. La prima è geopolitica: lo scopo era mandare un messaggio a Israele ma senza sconvolgere un Paese come l’India con cui l’Iran ha forti legami economici, nonostante Nuova Delhi mal digerisca il sostegno di Teheran, con l’ayatollah Ali Khamenei in prima linea, al separatismo nel Kashmir. La seconda è sostenuta dal fatto che a dicembre uno dei quattro accusati ha pubblicato sui social una foto di Fakhrizadeh, ucciso a fine novembre, soltanto due mesi prima dell’attacco: la cellula potrebbe essere stata reclutata, addestrata e schierata in maniera frettolosa, senza la necessaria formazione. Ed è questa la pista che più convince l’intelligence israeliana.

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