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Coni d’ombra portati alla luce. Indagare il rapporto fra uno degli uomini più importanti della storia repubblicana italiana come Giulio Andreotti e il suo rapporto con i Servizi segreti è di per sé una scommessa. Mario Caligiuri, professore ordinario all’Università della Calabria e presidente della Società Italiana di Intelligence (Socint), ha deciso di svelare i meandri di questo terreno scosceso e poco conosciuto.

Il suo ultimo saggio edito da Rubbettino “Giulio Andreotti e l’Intelligence. La guerra fredda in Italia e nel Mondo”, presentato con un’iniziativa di Socint in collaborazione con Formiche in un panel online moderato dalla giornalista di Sky TG24 Maria Latella, si presenta come “una monografia provocatoria”. È questa la definizione che sceglie l’esponente  Rosa Calipari, già deputata del PD e vedova di Nicola Calipari, l’agente dell’intelligence italiana che ha eroicamente perso la vita in missione a Baghdad, nel 2005.

Calipari parte da una considerazione che è poi il file rouge del libro. “Andreotti – dice – è una delle personalità attorno alle quali si sono costruiti maggiori pregiudizi e poche simpatie nel nostro Paese. Un politico che, grazie alla sua posizione privilegiata, è riuscito ad assistere a diverse fasi della Repubblica”. Giungendo alla consapevolezza che “un uomo di Stato non può che essere un uomo di intelligence”. Un’intelligence la cui azione, però, “deve essere finalizzata a salvaguardare l’interesse del Paese. Ed è stato questo principio a governare i rapporti fra Andreotti e i servizi, anche nell’affrontare le problematiche sullo scacchiere internazionale nelle quali il nostro Paese era direttamente o indirettamente coinvolto, dai rapporti con l’Unione Sovietica a quelli con il mondo arabo”.

Queste, tra le altre, sono state alcune delle ragioni che hanno spinto Florindo Rubbettino a scommettere ancora una volta sul lavoro di Caligiuri. Infatti il volume su Andreotti fa parte degli approfondimenti promossi sulla storia dell’intelligence promossi dall’Università della Calabria e che finora hanno visto la pubblicazione dei volumi “Cossiga e l’intelligence” (2011) e “Aldo Moro e l’intelligence. Il senso dello stato e le responsabilità del potere” (2018).

 

Il libro a cura di Mario Caligiuri

“Caligiuri – puntualizza l’editore – ha capito in anticipo l’importanza di studiare in maniera scientifica il ruolo dell’intelligence. In qualche modo attraverso questi saggi ha contribuito a far uscire da un cono d’ombra una parte importante della nostra storia. È un modo per rivelare una parte del nostro passato”. Un passato non sempre glorioso, anche quello dei servizi. Echeggiano ancora nella memoria le parole di Andreotti stesso quando, in Parlamento nel ’90, rivelò l’effettiva esistenza di Gladio. Servizi deviati, implicazioni e ruoli poco chiari negli episodi più sanguinosi della storia della Repubblica. Un fantomatico ‘Anello’ : un servizio deviato che rispondeva solo ad Andreotti. “Sul quale però – rivela Caligiuri – le fonti sono claudicanti e ci sono pochi atti che ne comprovino l’effettiva esistenza”.

Dal canto suo Andreotti, dettaglia il curatore del volume, “ha sempre avuto, relativamente ai Servizi, l’idea che dovessero servire il Paese”. Questa visione è stata funzionale “alle relazioni che Andreotti ha saputo intessere sia con le superpotenze che con il mondo arabo, con la Francia, così come il Regno unito, facendo peraltro sempre riferimento anche ala politica vaticana”. L’essenza del lavoro di Caligiuri è sintetizzata da una frase che lui stesso pronuncia nel corso dell’evento. “Per studiare scientificamente l’intelligence occorre farlo dandogli un chiaro inquadramento storico, sennò si rischia di confinarlo a un luogo di ombre. Da ultimo, capire le vicende di Andreotti e il suo rapporto coi Servizi, significa comprendere in profondità la storia della Repubblica”.

Con questa lettura è concorde anche l’ex premier Massimo D’Alema che, alla presentazione, interviene con una certa dose di consapevolezza visto il suo passato al vertice del Copasir, il comitato parlamentare di controllo degli 007.

Ripercorrendo quegli anni, D’Alema sostiene che Caligiuri nel suo testo in un certo senso riprende “un consiglio che io diedi ai vertici dei servizi quando stavo al Copasir, ma che poi non venne ascoltato. Consigliai loro di iniziare a raccontare la storia dei servizi, della quale peraltro non si ha una contezza”. Se non una storia parallela “desunta dagli atti giudiziari. E che quindi diventa la storia dei servizi segreti deviati”.

Secondo D’Alema questa smania di segretezza “ha offuscato quanto di buono hanno fatto i servizi segreti italiani, di cui peraltro sono testimone diretto”. Dalla Libia al Kosovo, passando per i Balcani e il Libano. In quanto alla figura di Andreotti, l’ex presidente del Consiglio, afferma che “come tutti i democristiani aveva un’idea di politica che si muovesse nella direzione della tutela degli interessi nazionali”.

Per questo “considerava l’intelligence uno strumento utile” a perseguire questa finalità. D’altra parte seppe “resistere e filtrare le informazioni non esatte che arrivavano artatamente da altri servizi segreti di altri paesi per tentare di condizionare l’azione di quelli italiani”. La considerazione finale è che “i servizi rappresentano uno strumento molto importante di azione politica: sono in grado di fare operazioni che non sono possibili altrimenti. E questo, Andreotti, lo aveva capito perfettamente”.

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