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La quiete dopo la tempesta. O meglio, il coro entusiasta e pressoché unanime di sì dopo la sorpresa e la notizia che non ti aspetti. A 24 ore di distanza dalla decisione di Roberto Gualtieri di correre alle prossime primarie del centrosinistra per il Campidoglio – con contestuale naufragio dell’ipotesi di una qualche forma di accordo con i cinquestelle e della candidatura di Nicola Zingaretti – nei dintorni del Partito democratico è tutto un susseguirsi di commenti positivi e improntati all’ottimismo. A partire, com’è ovvio che sia, dal diretto interessato che stamattina ha subito parlato a Repubblica e iniziato a snocciolare la sua ricetta per la città eterna: “Lavorerò da sindaco perché Roma diventi la capitale europea dell’economia della conoscenza, della ricerca, della scienza e della cultura”.

Nel corso della mattinata lo hanno poi seguito a ruota tutti i protagonisti di questa vicenda interminabile e dai contorni contraddittori e a tratti surreali. E così Enrico Letta – che pure un paio di mesi fa aveva esordito da segretario Pd con lo stop alla possibile candidatura di Gualtieri – si è trovato in mattinata a spargere fiducia sulle prossime elezioni capitoline. “Abbiamo messo in campo l’ex ministro dell’Economia e delle Finanze che ha lanciato il Recovery fund”, ha rivendicato Letta che nella prossima corsa per il Campidoglio, come lui stesso aveva sottolineato nelle scorse settimane, si giocherà “l’osso del collo”. Ovvero, detta in termini politici, la segreteria e forse pure la carriera politica nel caso in cui il Pd – come affermano molti dem a microfoni spenti – non riuscisse a centrare il ballottaggio a vantaggio di Virginia Raggi e del candidato del centrodestra.

E lo stesso ha fatto anche Zingaretti che fino al primo pomeriggio di ieri era lecito considerare il più probabile candidato del centrosinistra romano alle amministrative d’autunno ma che adesso invece sembra destinato a rimanere ancora alla guida della regione Lazio. “Gualtieri è una candidatura forte e credibile e la sua scelta di candidarsi aiuterà il progetto di rinascita di Roma”, ha commentato l’ex segretario del Pd che pure, in cuor suo, sembra avesse ormai deciso di correre, seppur con una mole così rilevante di condizioni e caveat da aver reso di fatto irrealizzabile questo proposito. Anche per via beninteso del mancato accordo con i cinquestelle di Giuseppe Conte al cui nome Zingaretti si è praticamente, politicamente parlando, vincolato per la seconda volta nel giro di pochi mesi.

Alla fiera romana del “volemose bene” in versione Pd – la cui veridicità è tutta da dimostrare considerati i dissensi che da sempre alimentano il dibattito tra i dem, soprattutto quando si parla della capitale – hanno insomma partecipato praticamente tutti. È il caso ancora del responsabile Enti locali del partito Francesco Boccia. “Gualtieri andrà al ballottaggio e Virginia Raggi ci aiuterà in quell’occasione”, ha affermato l’ex ministro per gli Affari regionali e le Autonomie ma gli esempi in questo senso sono talmente tanti da non poter essere neppure facilmente enumerati. Addirittura pure l’associazione dei consumatori Codacons, famosa soprattutto per le sue iniziative e le sue posizioni pubbliche di contestazione, ci ha tenuto a far sapere di stare dalla parte di Gualtieri: “Esprimiamo soddisfazione per la sua candidatura a sindaco di Roma”.

In quest’ottica definire sparute le voci critiche è poco. “Quelli che si fanno scegliere il candidato sindaco da quelli che esprimono la peggiore sindaca degli ultimi anni..#quandodiciunalineavincente”, ha twittato Lorenza Bonaccorsi, gentiloniana di ferro che le cose di Roma le conosce certo in profondità.

“Un errore sottovalutare la realtà e sopravvalutare Conte”, ha commentato invece l’ex capogruppo dem a Palazzo Madama Andrea Marcucci intervistato dal Foglio. Ma si tratta appunto di poche, pochissime, voci isolate in un coro di segno completamente opposto. La dimostrazione dunque che il Pd si è definitivamente messo alle spalle le difficoltà e le polemiche di questi mesi in vista delle prossime amministrative?

Difficile in questo contesto rispondere in modo certamente affermativo a questa domanda, anche perché, a ben vedere, le ragioni elettorali alla base della tentata candidatura di Zingaretti rimangono in fondo pienamente intatte. Ossia la paura di una debacle che potrebbe investire non solo l’attuale segreteria ma tutto il partito. Per questa ragione c’è ancora chi ritiene che permanga, seppur in modo flebilissimo, la possibilità di un ultimo colpo di scena che rimetta in carreggiata l’ipotesi Zingaretti.

Uno scenario però reso ancor più difficile dalla comune provenienza politica di Gualtieri e Zingaretti. I due si conoscono benissimo fin dai tempi della sinistra giovanile e sono entrambi vicinissimi a Goffredo Bettini – anzi, c’è chi sostiene che il più bettiniano tra i due sia l’ex ministro dell’Economia -, nonostante l’appartenenza poi a correnti diverse del Pd e i rapporti non proprio idilliaci durante il governo giallorosso. Insomma, è difficile, forse impossibile, pensare che si possano sfidare alle primarie, come pure in teoria potrebbe e dovrebbe avvenire: negli unici due precedenti romani delle primarie c’è stata comunque una competizione aperta e combattuta tra soggetti di rilievo nazionale (nel 2013 tra Ignazio Marino, David Sassoli e Paolo Gentiloni e nel 2016 tra Roberto Giachetti e Roberto Morassut).

Rimane poi, più in generale, la questione delle alleanze locali con i cinquestelle, ancora in altissimo mare. A Roma e a Torino, come ha riconosciuto oggi Letta, “l’accordo è difficile”. A Milano Beppe Sala è stato chiaro nel dire no a ogni ipotesi di intesa. A Bologna le trattative sono ancora in stallo così come a Napoli dove negli ultimi giorni si è tornato a parlare con forza dell’ex ministro dell’Università Gaetano Manfredi. Morale della favola: in almeno tre dei cinque capoluoghi al voto in autunno Pd e Movimento appaiono destinati ad andare separatamente. Alla faccia dell’alleanza.

Campidoglio

Campidoglio, il Pd alla fiera romana del “volemose bene”. Dubbi e timori

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