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Fondamentalisti laici ed islamici lo vedono come il fumo negli occhi: Rachid Ghannouchi è a un tempo la bestia nera delle repubbliche islamiche, delle monarchie saudite e delle dittature laiche del variegato insieme dei paesi arabi.

Il motivo di questo tiro incrociato è lo stesso sia per gli uni che per gli altri: da anni Rachid Ghannouchi si batte per un ideale, quello di una democrazia rappresentativa ispirata ai valori della della civiltà di un Islam che si riconosca più nella grande millenaria tradizione filosofica arabo-musulmana, che cerca di conciliare l’adesione al Corano con le esigenze della ragione (al-Kindi, al-Farabi, Ibn Bajja, Ibn-Sina e Ibn-Rushd) piuttosto che con le espressioni contemporanee di un “Islam politico”.

La sua preferenza per il regime repubblicano parlamentare, caratterizzato dal pluralismo dei partiti che rifletta e rappresenti tutte le componenti della società civile poi, fa andare su tutte le furie tanto le lobbies monopolistiche che trovano più semplice – ed infinitamente più redditizio – dialogare con una sola autorità esercitante il controllo su tutti i poteri dello stato, quanto quelle del fondamentalismo radicale religioso che vede nelle monarchie assolute e nelle repubbliche islamiche le forme istituzionali più adatte ad interpretarne al meglio le proprie istanze egemoniche.

Sotto il tiro incrociato di questi nemici esterni Ghannouchi è riuscito, grazie soprattutto ad una intesa solidissima e costante con un interlocutore di alto livello culturale e politico quale è stato Bejii Caïd Essebsi, da una parte a tenere a bada le bramosie insaziabili di una parte consistente della dirigenza del partito Nahdha e dall’altra gli attacchi esterni che erano diminuiti notevolmente dopo le elezioni di fine anno del 2014, che videro trionfare alle presidenziali il candidato laico Essebsi, ed assegnare, alle legislative, la maggioranza relativa a Nidaa Tounes, il partito di cui Essebsi stesso era presidente.

Da una parte l’impossibilità, per Nidaa Tounes, di costruire una coalizione di maggioranza a sostegno di un governo, e dall’altra la necessità di evitare elezioni legislative anticipate che avrebbero rischiato di creare tensioni aggiuntive in uno stato di emergenza successivo ai due omicidi di due personalità politiche dell’opposizione, Chokri Belaïd (6 febbraio 2013) e Mohamed Brahmi (25 luglio 2013), convinsero Essebsi e Ghannouchi ad addivenire ad un accordo per non far mancare la maggioranza a sostegno del governo di Habib Essid (6 febbraio 2015-27 agosto 2016). Se questo patto riuscì a far superare la crisi successiva ai due attentati terroristici del Bardo (18 marzo 2015, 24 morti e 45 feriti) e di Sousse (26 giugno 2015, 38 morti e 39 feriti), non riuscì tuttavia ad impedire la conseguenza di una scissione nel partito Nidaa Tounes, che perse la maggioranza in parlamento. Ancora una volta il dialogo fra Ghannouchi ed Essebsi riuscì a salvare la legislatura e fu varato il governo Chahed che, sostenuto da una maggioranza di larghe intese rimase in carica dal 2016 al 2020.

La morte del presidente in carica Beji Caïd Essebsi (25 luglio 2019) anticipò la data delle elezioni legislative e presidenziali portando al palazzo di Cartagine Kaïs Saïed con un plebiscito al secondo turno di quasi il 73% degli elettori. Intanto la situazione economica  – siamo ad inizio 2019 – si stava deteriorando soprattutto a causa di una serie di scioperi selvaggi a catena che colpivano settori produttivi strategici quali quello dei fosfati a Gafsa e del petrolio a Tataouine. A tutto ciò si aggiungevano le pressioni, esercitate sulla pubblica amministrazione per negare licenze di esercizio commerciale e sulle banche per negare il credito necessario all’avviamento di startup soprattutto di giovani laureati e diplomati senza un lavoro, dalle lobbies monopolistiche locali, indicate come “gruppi familiari” dall’allora rappresentante diplomatico della Ue a Tunisi Patrice Bergamini e principali responsabili dello sviluppo delle economie locali in una intervista a Le Monde pubblicata il 9 luglio 2019. Sei mesi più tardi Ghannouchi, esattamente il 10 febbraio 2020, nel suo discorso commemorativo della promulgazione della nuova costituzione del 2014 pronunciato in parlamento lanciava un grido d’allarme sul rischio di una esplosione sociale sollecitando governo e parlamento ad accelerare i lavori per dare il via a tutta una serie di riforme strutturali la cui attuazione era stata ostacolata da un concorso di cause mosse da forze ostili alla transizione democratica (terrorismo e lobbies monopolistiche) alle quali di lì a poche settimane dopo si sarebbe aggiunta quella di una pandemia i cui effetti devastanti furono inizialmente (come altrove) largamente sottostimati. Il crescendo impetuoso della doppia crisi ho già avuto occasione di raccontarlo nei dettagli ai lettori di Formiche nelle cronache dei cinque articoli pubblicati dall’inizio dell’anno, rispettivamente il 24 gennaio, il 27 gennaio, il 16 febbraio, il 27 febbraio e, infine, il 19 marzo.

Oggi, dopo che il presidente Kaïs Saïed ha assunto pieni poteri avvalendosi (in modo ultroneo anche a detta dei suoi stessi sostenitori) delle facoltà che l’articolo 80 della costituzione riconosce al presidente della repubblica con una decisione che non può certo dirsi un fulmine a ciel sereno ma piuttosto come parte finale della cronaca d’un colpo di più di testa che di stato annunciato, nella vulgata delle cronache locali la causa di ogni male della Tunisia non è da ricercarsi in una persistente ostilità delle classi dominanti alla modernizzazione ed al progresso sociale del paese. No. La causa unica di ogni male è lui: Rachid Ghannoouchi, la bête noire dell’intellighenzia di tutti gli illuminati di sinistra, di destra, di centro, di su e di giù, tutti insieme affratellati dal terrore d’uno spettro che si aggira nel variegato mondo dei paesi arabo musulmani: lo spettro d’una democrazia e di un regime parlamentare che, una volta affermatisi in Tunisia senza entrare in conflitto con le radici culturali musulmane, rischia di far saltare per aria, molto più seriamente del fuoco di paglia delle effimere primavere arabe, la troika della governance dei paesi arabi: monarchie saudite, repubbliche islamiche e dittature. Uno spettro che ha un volto e un nome: Rachid Ghannouchi, per mettere sul rogo il quale sono state affastellate cataste di rami secchi, dai suoi contatti con i fratelli musulmani ai suoi presunti trascorsi terroristici, ai suoi conti in banca sino ai suoi legami con gli Usa. Gli manca solo d’essere accusato della sconfitta delle Guerre Puniche e della caduta di Cartagine. Ma di questo passo non mancherà qualche illustre accademico pronto a fornire le prove storiche di questo ed altro. Per far fallire la transizione democratica in Tunisia va bene tutto, whatever works.

Chi ha paura di Rachid Ghannouchi, la bestia nera della democrazia tunisina

Di Giacomo Fiaschi

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