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Le relazioni tra i due Paesi oggi, come in passato, hanno una struttura basata sulla realpolitik, perseguendo un rapporto di equilibrio/interesse, e girano attorno alla questione palestinese e alla posizione d’Israele quale interlocutore privilegiato della Casa Bianca. Però, adesso, riassumiamo brevemente la storia dei rapporti turco-ebraici.

Il primo evento importante che viene in mente quando si citano ebrei e turchi è che quando oltre 200mila ebrei furono espulsi dall’Inquisizione spagnola nel 1491, l’Impero ottomano li invitò a stabilirsi nel suo territorio.
La Turchia è stato il primo Paese musulmano a riconoscere Israele nel 1949.

La prima missione diplomatica di Israele in Turchia fu aperta il 7 gennaio 1950, ma i rapporti con la crisi di Suez nel 1956 furono ridotti al livello di incaricato d’affari. La Turchia nella seconda guerra arabo-israeliana nel 1967, ha scelto di non essere coinvolta; e non ha permesso che i rapporti si interrompessero completamente.

Gli anni Novanta hanno avuto un andamento positivo in termini di relazioni bilaterali. Dopo la seconda guerra del Golfo del 1991 – ricordiamo che la prima fu quella 1980-1988 dell’Iraq e il mondo contro l’Iran (che aveva dalla sua unicamente Rpd di Corea, Siria Libia e il sostegno morale dell’Albania di Enver Hoxha) – la Turchia è stata al centro della politica di sicurezza nella regione. Ed in tale contesto le relazioni Turchia-Israele riscossero un serio riavvicinamento.

Nel 1993, la Turchia elevò relazioni diplomatiche con Israele a livello di ambasciatori. La firma dell’accordo di Oslo tra Palestina e Israele ha portato a relazioni più strette. Fu firmato l’accordo di cooperazione militare del 1996 tra i due Paesi nella lotta al Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk) in Turchia, che fornì un contributo significativo sia in termini logistici che di intelligence ad entrambe le parti.

Negli anni 2000, c’è stato un ulteriore riavvicinamento con Israele, a causa della politica “zero problemi con i vicini” del partito della Giustizia e dello Sviluppo di Erdoğan. Ricordo ancora il N. 3/1999 di “Limes” titolato “Turchia-Israele, la nuova alleanza”.

Nel 2002 una compagnia israeliana ha intrapreso il progetto di ammodernamento di dodici carri armati M-60 appartenenti alle forze armate turche. Il 2004 la Turchia ha accettato di vendere l’acqua a Israele dal fiume Manavgat.

La visita del primo ministro Erdoğan in Israele nel 2005 è stata un punto di svolta in termini di mediazione tra Palestina e Israele e un ulteriore avanzamento delle relazioni bilaterali. Nel 2007, il presidente israeliano Shimon Peres e il presidente palestinese Mahmud Abbas hanno parlato alla Grande assemblea nazionale turca ad un giorno di distanza. Sono continuate le visite ad alto livello da Israele.

Il 22 dicembre 2008, il primo ministro israeliano Ehud Olmert è venuto ad Ankara e ha incontrato il primo ministro Recep Tayyip Erdoğan. In questo incontro sono stati registrati progressi significativi per quanto riguarda la mediazione della Turchia tra Israele e Siria.

Il deteriorarsi dei rapporti turco-israeliani, al di là dei summenzionati incidenti, è avvenuto cinque giorni dopo il predetto incontro: l’operazione Piombo fuso contro Gaza il 27 dicembre 2008. Dopo questo avvenimento, i rapporti fra le due parti non sono stati più gli stessi di prima.

Però recentemente sono state fatte anche dichiarazioni di buona volontà da entrambi i Paesi per normalizzare le relazioni politiche. A dicembre 2020, il presidente Erdoğan ha dichiarato di voler migliorare le relazioni con Israele e ha affermato: «Non è possibile per noi accettare l’atteggiamento di Israele nei confronti dei territori palestinesi. Questo è il punto in cui differiamo da Israele, altrimenti, il nostro cuore desidera migliorare anche i nostri rapporti con loro».

La Turchia sta proponendo, nelle relazioni con Israele, la questione palestinese come condizione. Quando la guardiamo dalla prospettiva opposta, tale questione palestinese è un argomento vitale per Israele. Per cui essa è un serio ostacolo alle relazioni bilaterali.

D’altro canto, molte questioni regionali come il Mediterraneo orientale, la Siria e alcune questioni di sicurezza nella regione richiedono la cooperazione di questi due Paesi chiave. Per questo motivo, è chiaro che entrambe le parti desiderano almeno porre fine alla crisi, ridurre la retorica a livello di leadership e concentrarsi sulle aree di cooperazione e realpolitik.

Sicuramente nei prossimi mesi si cercherà di troverà un equilibrio tra questi propositi e le condizioni che rendono necessario riavviare su un piano di parità le relazioni bilaterali con Israele, in modo da trovare un equilibrio. Poiché il miglioramento delle relazioni con Israele influenzerà positivamente anche le relazioni della Turchia con gli Usa.

La Turchia cerca di evitare che gli Usa e l’Unione Europea stabiliscano sanzioni che potrebbero arrivare al punto di incrementare la retorica neo ottomana anti-occidentale, mentre il miglioramento dei rapporti con Israele potrebbero offrire un risultato positivo non solo per evitare il predetto danno, ma pure per le questioni turche legate al Mediterraneo orientale, alle acque territoriali, a Libia e Siria. La Turchia non ha intenzione di tirarsi tirati indietro sulle tali questioni che ritiene vitali: al contrario vorrebbe trasmettere messaggi positivi a livello di colloqui e vertici.

Un altro importante argomento di frizione fra Turchia e Israele è la questione dell’utilizzo degli idrocarburi nelle riserve del Mediterraneo orientale fra Egitto, Israele, Grecia e Cipro (Nicosia).
Quest’è un approccio che sta escludendo la Turchia. Anche gli Stati Uniti e l’Ue sostengono fortemente la situazione odierna (che abbiamo affrontato in un precedente articolo) pure perché la Francia è stata inclusa nell’equazione.

Gli allineamenti in queste aree marine li abbiamo ampiamente visti pure durante la guerra civile in Libia, dove sono scesi in campo Turchia, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Francia, così come altri attori come Russia, Italia, ecc.
In definitiva un punto di contatto fra Turchia e Israele, è l’azione mediatrice che Ankara potrebbe giocare nei rapporti fra Teheran e Tel Aviv specie dopo Il miglioramento delle relazioni turco-iraniane.

Infatti il ministero degli Esteri turco all’indomani dell’attacco aereo degli Usa a Baghdad – che il 3 gennaio 2020 ha ucciso il generale iraniano Qassem Soleimani – ha affermato che l’azione statunitense aumenterà l’insicurezza e l’instabilità nella regione. Inoltre ha riportato che la Turchia è preoccupata per le crescenti tensioni tra Usa e Iran che potrebbero ritrasformare l’Iraq in area di conflitto a danno di pace e stabilità nella regione. Vi è stata anche una telefonata di condoglianze di Erdoğan al presidente iraniano Rouhani, esortandolo ad evitare un’escalation conflittuale con gli Usa a seguito dell’attacco aereo.

Di conseguenza, è interesse del presidente turco mantenere un canale aperto con Teheran, affinché egli stesso possa ammorbidire le reciproche tensioni fra Israele e Iran, in modo che a sua volta la diplomazia israeliana influenzi le scelte dell’amministrazione di Joseph Robinette Biden Jr., sia pure meno favorevole a Israele rispetto a Donald Trump.

La Turchia è noto abbia molti problemi relazionali con gli Usa – specie dopo il tentato colpo di Stato del 15-16 luglio 2016 e compresa la questione petrolifera summenzionata – e si rende conto che unicamente Tel Aviv sia in grado di risolvere agevolmente la situazione.

Di fatto, le relazioni Israele-Usa non sono al meglio come con il presidente Trump; questo elemento pare non sia noto ad Erdoğan, ma in realtà il presidente turco sa bene che l’unica voce che la Casa Bianca è in grado di udire è quella di Tel Aviv, e no di certo delle monarchie del Golfo, attualmente in urto con Ankara.

Israele mantiene un basso profilo sulle dichiarazioni di Erdoğan relative ai palestinesi, ritenendole consequenziali, come pure ad una serie di atteggiamenti chiaramente antisionisti del popolo turco.

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