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Che cosa hanno in comune i pesci e le mucche? Il tentativo della Cina di trovare nuove risorse agroalimentari.

Nel primo caso, l’ong americana Oceana ha pubblicato un report nel quale denuncia l’attività sfrenata dei pescherecci cinesi nelle acque argentine. In seguito a una ricerca di più di tre anni, nella quale sono state documentate le attività di più di 800 imbarcazioni internazionali e 900.000 ore di pesca, l’ong sostiene che il 69% delle attività è stato svolto da 400 navi cinesi; il 26% da navi sudcoreane, spagnole e taiwanesi e l’1% navi argentine.

ATTIVITÀ ILLEGALI IN ARGENTINA

Circa 6.000 trasmissioni del Sistema di Identificazione Automatica (Ais), sono scomparse per più di 24 ore, per cui si ipotizza una disattivazione dei dispositivi di tracciamento. “Queste navi – spiega Oceana – sono rimaste invisibili per più di 600.000 ore, nascondendo l’ubicazione dei pescherecci e mascherando atteggiamenti potenzialmente illegali, come attraversare le acque nazionali dell’Argentina per pescare”. Le navi cinesi sono state responsabili di circa il 66% di questi episodi.

Sotto, il grafico di Oceana dove s’individuano le navi “scomparse” nella Zona Economica Esclusiva dell’Argentina. L’ong sostiene di avere identificato pescherecci cinesi che pescavano illegalmente calamari in acque argentine, con i Gps spenti, ad aprile del 2020.

OBIETTIVO MILITARE?

Il vicepresidente di Oceana, Beth Lowell, ha spiegato in un comunicato che “la pesca illegale, non dichiarata e non regolata, minaccia lo stato degli oceani. Le imbarcazioni che scompaiono vicino alle acque nazionali dell’Argentina possono pescare di frodo […], causando danni agli oceani, alle comunità costiere e alle persone che dipendono dal mare per la loro vita”.

Inoltre, ad ottobre è stato diffuso uno studio che considera la possibilità che le navi cinesi in Sudamerica abbiano obiettivi militari. Il ricercatore Ge Bidong ha spiegato all’agenzia Afp che “oltre a fomentare il furto di risorse da una prospettiva economica, il Partito Comunista Cinese ha anche un’altra ambizione: sostituire la democrazia con un potere centralizzato. Con questo obiettivo, usano quasi tutte le attività economiche come armi strategiche”. E i pescherecci potrebbero fungere come un efficace Cavallo di Troia per infiltrarsi in altri Paesi.

LA CRISI DEL LATTE

Un altro fenomeno, questa volta apparentemente finanziario, riguarda la ricerca di latte da parte della Cina. Un’analisi di Reuters spiega come la domanda sia aumentata significativamente durante la pandemia, dopo che molti medici ne hanno sottolineato i benefici per la salute. Si è subito registrata una crescita nella costruzione di fattorie. “Ma placare quella sete di latte sarà problematico – spiega Reuters -, anche perché sarà difficile trovare milioni di mucche in più per nuovi allevamenti pianificati”. Grazie agli aiuti statali e i sussidi sono stati annunciati 200 nuovi progetti, secondo la società di consulenza Beijing Orient Dairy.

La Cina è il terzo produttore mondiale di latte, ma i 34 milioni di tonnellate di produzione del 2020 soddisfano solo il 70% del fabbisogno cinese. Complicano la situazione l’aumento del prezzo dei mangimi – ai massimi pluriennali -, e la scarsità di terre e di acque.

Per i cinesi, il latte è ancora un bene di molto valore, tanto da essere considerato un regalo molto popolare. Un litro di latte fresco costa circa 2 dollari, circa il doppio rispetto agli Stati Uniti o il Regno Unito.

IL PESO DELLE IMPORTAZIONI

Secondo Reuters, si stima che nei prossimi due anni in Cina ci saranno 500.000 nuove mucche. Le importazioni, invece, potrebbero arrivare a circa 400.000. Nel 2020, la Cina ha importato quasi 200.000 capi di bestiame, principalmente dall’Australia e dalla Nuova Zelanda. Anche se questo Paese ha deciso di fermare le esportazioni di bestiame entro due anni.

Altri Paesi esportatori, con numeri minori e il doppio del tempo per il trasporto, sono Cile e Uruguay. In più, le loro razze producono meno latte.

Dou Ming, economista della Beijing Orient Dairy, ha spiegato che il Brasile, gli Stati Uniti e alcuni Paesi europei potrebbero diventare buone fonti di bestiame da riproduzione per la Cina.

Infatti, nell’accordo commerciale firmato nel 2020 tra Cina e Stati Uniti era prevista l’importazione di bovini da riproduzione, ma non è chiaro se siano state avviate le trattative su questo tema.

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