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Al comparire del Covid, scrivemmo che ci saremmo accorti delle conseguenze del virus “con ritardo e a rilascio progressivo, spesso a cambiamenti già avvenuti. Come dopo un furto in abitazione, quando si continua a scoprire via via nelle settimane ciò che manca in casa”.

In effetti così è stato, in particolare per quanto ha riguardato l’impatto che la pandemia ha avuto sulle relazioni internazionali, dove stiamo assistendo ancora a una girandola di evoluzioni.

Tra i più sorprendenti spin off, vi sono quelli collegati alla vicenda dei vaccini idealmente periodizzabile in 4 fasi: 1) Ideazione; 2) produzione; 3) distribuzione; 4) somministrazione.

I risvolti politici delle prime tre fasi sono stati già ampiamente analizzati su queste pagine.

Dalla competizione iniziale nella ricerca alla nascita di un Vaccino Economico Occidentale contrapposto ad uno Orientale Geo-politico, con il Multilaterale a rincorrere le Big Pharma e il Bilaterale chiuso in sé stesso (USA, GB, Israele) oppure (Russia, Cina) proteso a negoziare la distribuzione delle dosi prima di avere risolto la questione della loro produzione.

Esattamente un anno fa, ad Agosto 2020, commentavamo la scoperta annunciata da Mosca dello Sputnik V, ottimo dal punto di vista medico (si veda l’emblematica vicenda del laboratorio sammarinese) ma ovviamente controverso da quello politico.

Tuttavia, ora che si sta avverando la previsione che voleva la carenza dei vaccini progressivamente diminuire nell’estate del 2021, gli sviluppi politici correlati sono legati alla vicenda della campagne di immunizzazione in corso in gran parte dei paesi.

Nel loro procedere in autonomia e con notevoli incongruenze e contraddizioni (complice il tentativo di salvare il salvabile dell’industria del turismo domestico estivo, attraendo l’incoming ma scoraggiando l’outgoing), gli Stati Nazione hanno dimostrato ancora una volta di prediligere l’azione bilaterale.

A dispetto della retorica del coordinamento multilaterale che pure era stata lanciata da Mario Draghi e Ursula Von Der Leyen con forza al Global Health Summit di Roma a Maggio 2021.

Piuttosto, la vera novità di questa quarta fase della “somministrazione del vaccino”, imprevista per forme e dimensioni, è stato il diffuso comparire a livello mondiale di un trasversalissimo movimento No-Vax.

A ben guardare, dopo il crollo dell’internazionalismo di matrice comunista, seguito alla fine dell’URSS, il No-Vax sembra essere il primo vero movimento trans-nazionale dal basso realmente globale, su livelli non raggiunti da altre opzioni politiche degli ultimi decenni, come ad esempio quella sovranista o ecologista. Che si sono sviluppate o a macchia di leopardo oppure con interventi pilotati dall’alto (come nel caso della ascesa dell’oramai sgonfiato fenomeno di Greta Thunberg).

Ancora fluido e poco strutturato, il No-Vax raggruppa una galassia di posizioni intermedie, spesso – come del resto accadeva all’epoca d’oro del proletarismo internazionale – coniugate diversamente a seconda delle specificità nazionali in cui si manifestano.

Inoltre, solo una parte del movimento si oppone radicalmente ai vaccini; mentre altre anime sono più concentrate sulla critica delle arbitrarie limitazioni delle libertà civili in tempo di pandemia; e altre ancora sulla evidente commercializzazione del vaccino. A tal punto da essere più portatrici di un discorso No-Big Pharma.

È un dato di fatto che questa varietà e fluidità di posizioni, tipica di un movimento (per ora) non gerarchico, in certi momenti risulta essere un vantaggio e i No-Vax sono tra le poche realtà di massa che, seppure con minoranze rumorose, hanno il potere effettivo di riempire le piazze. Di cui sempre meno invece sono capaci le restanti forze politiche o le istituzioni rappresentative classiche.

Il paragone storico con l’internazionalismo proletario può anche aiutare – con i dovuti distinguo – a ipotizzare quale piega futura possano prendere i No-Vax, se continueranno ad essere sottovalutati o affrontati come fenomeno a sé stante.

Il trattarli con sufficienza e irriderli fermandosi solo ai (spesso discutibili) contenuti delle loro argomentazioni in campo sanitario e tralasciando invece le restanti accuse politiche (a volte condivisibili), porta con sé due rischi osmotici.

Il primo è di ottenere un compattamento di riflesso e un rafforzamento politico dei No-Vax simile a quello visto in occasione della campagna europea contro la Brexit, quando il sarcasmo burocratico e la stucchevole retorica con cui Bruxelles ha trattato il fronte favorevole all’uscita di Londra è stato a detta degli analisti tra i principali motivi della sua affermazione di misura.

Il secondo, collegato, è di non (volere) comprendere che i No-Vax non sono scesi dalla luna ma sono triste conseguenza di una cronica crisi di legittimità istituzionale a livello globale, che parte da lontano e che il Covid non ha fatto altro che accentuare e mettere a nudo.

L’establishment tradizionale finge di non vedere e cerca di limitare i danni come meglio può, magari, sottacendo sui troppi aspetti obiettivamente oscuri che un po’ dappertutto hanno riguardato la concreta gestione della pandemia. E lanciandosi come in questi giorni con fiumi di retorica sulle medaglie olimpiche (vinte da validi atleti, non da politici), secondo il classico schema del panem ed circenses.

È credibile che una classe politica arrivata in pandemia in cronica crisi di legittimità e congelata nei suoi ruoli da uno stato di emergenza, in cuor suo speri che questo finisca dopo piuttosto che prima.

Come è inevitabile che il nobile messaggio a vaccinarsi proveniente da un messaggero istituzionale percepito come non credibile, finisca esso stesso con l’essere compromesso e perdere efficacia.

Non occorre scomodare teorie complottiste. È semplice professionismo della politica.

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