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Passano i mesi, anzi, gli anni, cambiano i governi, i presidenti del Consiglio e i segretari, ma Roma rimane sempre una spina nel fianco per il Partito democratico. Ne sa qualcosa Enrico Letta che pronti e via – a neppure 48 ore di distanza dal suo sbarco al Nazareno – si è trovato a confrontarsi con la prima grana della sua segreteria, esplosa guarda caso all’ombra del Campidoglio.

L’accelerazione di un pezzo del partito romano sulla candidatura a sindaco di Roberto Gualtieri – poi abbastanza clamorosamente rientrata dopo l’incontro di ieri tra l’ex ministro dell’Economia e l’ex presidente del Consiglio terminato con una nota difficile da non interpretare come un mezzo passo indietro forzato – rappresenta, in fondo, l’ennesima conferma della confusione da cui è di regola avvolto il Pd quando si parla della città eterna. Che per un partito così romanocentrico, molto più delle altre forze politiche, non ha mai costituito una sfida come tante. Destino al quale non potrà sfuggire, come si è già visto in queste ore, neppure Letta che sui risultati delle prossime elezioni capitoline si gioca un pezzo non irrilevante delle sue chance di reggere con successo alla guida dei dem. Ciò non significa che debba necessariamente vincere e convincere ma ottenere quantomeno un buon risultato sì, sarà fondamentale.

Circostanza che rappresenta una sorta di contrappasso per l’attuale segretario del Pd che tra i primi, la scorsa estate, venne accostato alla candidatura per il Campidoglio. Letta disse subito di no, lasciando nelle mani di Nicola Zingaretti una patata bollente che lo ha poi accompagnato in tutti i mesi successivi fino alle dimissioni di pochi giorni fa. Adesso il governatore del Lazio l”ha ripassata al suo successore che però, stando agli insistenti rumors delle ultime ore, sarebbe a sua volta ben felice di rendergliela.

Il che, fuor di metafora, conduce allo schema su cui in molti nel Pd, Letta incluso, starebbero ragionando: ovvero quello di una candidatura a sindaco dello stesso Zingaretti, già invocato da molti all’interno del partito (qui la nostra intervista a Patrizia Prestipino). Tuttavia non è chiaro come la pensi sul punto il diretto interessato che a Roma si era già candidato nel 2012 salvo poi sterzare rapidamente verso la regione Lazio dopo la caduta dell’allora presidente Renata Polverini. La domanda da allora è rimasta in pratica sempre lo stessa: ossia, se la sentirebbe Zingaretti di candidarsi a guidare la capitale oppure, data l’estrema difficoltà della sfida e i relativi rischi annessi, preferirebbe passare la mano?

La risposta, ovviamente, ancora non c’è ma è lecito credere che questo stesso dubbio abbia colto pure Gualtieri e Letta. Alla luce di questa considerazione, ad esempio, si potrebbe spiegare il perché dell’improvvisa accelerazione sulla candidatura dell’ex ministro dell’Economia. Che altro motivo ci sarebbe stato per spingere così, con il voto ormai fissato il prossimo autunno, se non per mettere il nuovo segretario di fronte al fatto compiuto ed evitare in questo modo altre possibili scelte? D’altro canto Letta non poteva certo rinunciare a contribuire a questa decisione nella quale, lo abbiamo detto, si gioca moltissimo. Come è normale, cercherà di scegliere il nome con più chance di vittoria e in grado di semplificare maggiormente il quadro delle candidature e delle alleanze.

Chi possa essere è presto per dirlo, ma certo quello di Zingaretti rappresenterebbe un nome sicuramente competitivo a Roma, innanzitutto perché potrebbe far desistere dalla corsa Carlo Calenda e convogliare su di sé, anche alla luce dell’accordo appena chiuso in regione con l’allargamento ai cinquestelle, una parte dei voti grillini romani contrari al bis di Virginia Raggi. Certo, è uscito piuttosto ammaccato dalla fine prematura della sua segreteria, ma sembra potersi dire che a risentire soprattutto della vicenda sia stato il suo profilo di politico nazionale mentre quello di amministratore del territorio appare sempre ben saldo, considerato pure che il Lazio nella gestione della pandemia ha retto meglio di tante altre regioni italiane.

Considerazioni che il sondaggio Izi diffuso oggi da Repubblica sembra in qualche modo rilanciare. Secondo la rilevazione, Gualtieri vincerebbe tutti gli ipotetici ballottaggi ma faticherebbe non poco a raggiungere il secondo turno. Anzi, stando appunto a questo sondaggio, non ci arriverebbe proprio perché al primo turno si qualificherebbe terzo, alle spalle di Raggi e di Guido Bertolaso (che nel frattempo continua a smentire). Ecco perché in questo contesto trovare un accordo con Calenda, secondo i dati quarto in classifica ma con un bacino potenziale di voti di tutto rispetto, rappresenta una priorità. Letta ne è consapevole: per questo ha preso tempo per capire e decidere e nel frattempo ha affidato a una quasi calendiana di ferro come Irene Tinagli uno dei due ruoli da vicesegretario Pd (l’altro è andato all’ex ministro Giuseppe Provenzano). Aspettando, forse, Zingaretti.

Elezioni a Roma, perché Letta non può permettersi di sbagliare

La vicenda di Roma rappresenta una sorta di contrappasso per Enrico Letta che tra i primi, la scorsa estate, venne accostato alla candidatura per il Campidoglio. Disse subito di no, lasciando nelle mani di Nicola Zingaretti una patata bollente che lo ha poi accompagnato in tutti i mesi successivi fino alle dimissioni di pochi giorni fa. Adesso il governatore del Lazio l’ha ripassata al suo successore che però, stando agli insistenti rumors delle ultime ore, sarebbe a sua volta ben felice di rendergliela

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