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A parere dello scrivente deve apprezzarsi pienamente la sentenza con cui il Consiglio di Stato nell’udienza dell’11 marzo – accogliendo il ricorso di ArcelorMittal, Ilva in A.S. e Invitalia – ha sospeso quella del Tar di Lecce che, invece, aveva confermato un’ordinanza ‘contingibile ed urgente’ del Sindaco di Taranto del 27 febbraio 2020, finalizzata ad imporre lo spegnimento dell’area a caldo del Siderurgico ionico, qualora il suo gestore non avesse rimosso entro trenta giorni le cause di ‘alcune criticità e anomalie ambientali’ denunciate dal primo cittadino e da lui ascritte all’esercizio della fabbrica.

Un apprezzamento convinto il nostro per le motivazioni addotte dai supremi giudici amministrativi che – riservandosi “un più approfondito scrutinio delle doglianze articolate delle parti” nella seduta del 13 maggio p.v. – hanno comunque ritenuto prevalente l’esigenza di evitare ‘evidenti profili di danno’ che, in caso di mancata emanazione della misura cautelare domandata, sarebbe derivato dallo spegnimento dell’area a caldo ‘probabilmente irreversibile’, entro i termini stabiliti dall’ordinanza sindacale, e di fatto assentiti dal Tar leccese che in primo grado aveva respinto il ricorso dell’azienda contro di essa.

Danni gravi e irreparabili all’area fusoria di quella che è tuttora la più grande acciaieria d’Europa a ciclo integrale, attualmente ancora posseduta dall’Ilva in Amministrazione straordinaria – e pertanto considerabile a tutti gli effetti un compendio impiantistico di proprietà pubblica, insieme a tutti gli altri siti del Gruppo Ilva – che è affidato in locazione (propedeutica all’acquisto) ad AMInvestco Italy, controllata da Arcelor MIttal, primo produttore di acciaio al mondo: AmInvestco Italy in cui, secondo gli accordi sottoscritti alla fine dello scorso anno, si accinge ad entrare, rilevandone il 50%, Invitalia, finanziaria controllata dallo Stato, che peraltro entro il 2022 dovrà salire al 60% del capitale della società che diventerà proprietaria del Gruppo Ilva.

E’ del tutto evidente, allora che il supremo organo della giustizia amministrativa accogliendo il ricorso del gestore, dell’attuale proprietario e del futuro partner pubblico abbia voluto tutelare l’integrità impiantistica di un bene tuttora pubblico, messa con tutta evidenza a repentaglio da un’ordinanza del Sindaco di Taranto che aveva imposto tempi ravvicinati fra la sua emanazione e l’obbligo imposto all’azienda, qualora essa non avesse ottemperato a quanto prescritto dal primo cittadino.

In realtà, ciò che sembra ignorare l’Amministrazione comunale del capoluogo ionico – ostinatamente protesa ormai da tempo ad imporre la dismissione dell’area a caldo del sito, posta sotto sequestro dalla Magistratura dal 26 luglio del 2012, ma abilitata alla facoltà d’uso da una legge approvata alla fine del 2012 – è proprio la persistente natura pubblica dello stabilimento tarantino che, con quelli di Genova e Novi ligure, costituisce il cespite fondamentale dell’Ilva in A.S., la cui vendita con il relativo ricavo dovrà peraltro ristorare i tanti creditori che si sono insinuati nello stato passivo della stessa Amministrazione straordinaria.

Ora, un danno irreparabile arrecato ad un bene tuttora pubblico – ma destinato ad essere venduto ad una società in cui peraltro un azionista pubblico assumerà dal 2022 il 60% del capitale, dopo averne rilevato nella fase d’ingresso già il 50%, potrebbe (presumibilmente) indurre la stessa Procura della Corte dei Conti ad intervenire contro coloro che determinassero quel danno. Se ne rende pienamente conto il Sindaco di Taranto il quale, a commento della sentenza del Consiglio di Stato, ha dichiarato fra l’altro che “noi fermeremo l’area a caldo del Siderurgico con ogni mezzo possibile” ?

Ora la piena ambientalizzazione della grande fabbrica a tutela dell’ambiente, della salute di operai e cittadini e dell’occupazione degli addetti diretti e di quelli dell’indotto è un obiettivo prioritario su cui è impegnato anche il nuovo Governo, come ha sottolineato sin dal suo insediamento il Ministro Giorgetti. Il piano industriale posto alla base dell’accordo fra Invitalia e Arcelor muove passi significativi in quella direzione. 

Ma se lo si ritenesse del tutto insoddisfacente e si volesse riaprire il confronto pubblico su quel piano – come peraltro chiesto con insistenza anche dai Sindacati, almeno per i suoi risvolti occupazionali – bisognerebbe farlo, a nostro avviso, con assoluta competenza tecnica, con proposte tecnologicamente praticabili a breve medio termine, e con rigorose analisi dei costi degli investimenti necessari e della redditività prevedibile nell’esercizio di un sito le cui produzioni devono competere con agguerrite concorrenze.

Invece le chiassate demagogiche non hanno alcuna utilità e non servono al successo di una causa che pure è condivisibile.

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