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L’anno scorso SpaceX è riuscita nell’impresa di riportare gli astronauti americani nello spazio a bordo di un razzo e di un’astronave tutti made in Usa, dopo nove anni dalla chiusura del programma Space Shuttle. Dal 2011, infatti, la Nasa acquistava dei passaggi a bordo delle Soyuz russe, ma dopo quella missione, la prima effettuata da una società privata, la Nasa ha eliminato la sua dipendenza da Mosca. Ma lo scenario è ulteriormente evoluto.

La Blue Origin sta per lanciare il suo razzo riutilizzabile New Shepard per un primo volo sub-orbitale in cui lo stesso Jeff Bezos, patron della società, sarà a bordo. SpaceX intende effettuare il primo volo orbitale della sua enorme astronave Starship (leggi qui) entro l’estate. Richard Branson, il proprietario della Virgin Galactic impegnato nella gara spaziale, salirà anche lui a bordo della SpaceShip Unity tra pochi giorni per un volo di prova. Insomma, negli Usa sembrano proliferare i vettori per portare esseri umani nello Spazio, e ciò di pari passo con la crescente (e preoccupante) militarizzazione delle orbite terrestri (leggi qui).

È indubbio che Washington da un lato sostiene le sue consolidate industrie fornitrici del Pentagono e, dall’altro, lascia briglia sciolta ai nuovi imprenditori privati i cui prodotti saranno comunque sempre utili al DoD per disporre di mezzi funzionali alle proprie necessità strategiche. Anche Pechino investe massivamente nei lanciatori e nelle astronavi. In gioco c’è la supremazia terrestre e un ruolo nel nuovo ordine mondiale. A fine giugno nel corso di una conferenza a Hong Kong, Long Lehao, capo progettista dei razzi cinesi Long March, ha esposto il progetto di un nuovo enorme lanciatore in fase di sviluppo con cui realizzare una centrale solare spaziale in orbita geostazionaria, da dove trasmettere a Terra l’energia convertita tramite microonde o laser.

Long Lehao ha enfatizzato come il progetto fornirebbe energia rinnovabile su larga scala aiutando a contrastare la scarsità di risorse energetiche sul pianeta, ma a nessuno sfugge che la possibilità di convogliare dallo Spazio profondo fasci di energia altamente direttivi rappresenta una potenziale arma elettromagnetica di enorme impatto. Il progetto potrebbe rappresentare la risposta di Pechino al modulo fotovoltaico Pram (Photovoltaic Radiofrequency Antenna Module) che da oltre un anno orbita intorno alla Terra a bordo della navetta spaziale unmanned X-37B del Pentagono. Il Pram deve testare la fattibilità dei sistemi di energia solare che convertono la luce solare in energia a microonde al di fuori dell’atmosfera terrestre, e il suo funzionamento è top-secret.

Cosa c’entrano questi sistemi all’apparenza avveniristici, seppure molto prossimi, con i voli degli astronauti? Sono delle infrastrutture spaziali che potrebbero funzionare in modalità semi-automatica o controllata dal pianeta, ma che dovranno essere manutenute o anche gestite da piccole stazioni abitate in orbita. Sarà quindi necessario per le superpotenze disporre di mezzi (cioè lanciatori e astronavi) agili e flessibili con cui inviare astronauti dove sia richiesta un’operazione in presenza umana. Ovviamente, le centrali solari non saranno le uniche infrastrutture possibili; ci saranno laboratori di ricerca e di produzione e, forse, habitat dedicati al cosiddetto turismo. Ma al di là di previsioni immaginifiche, l’aspetto strategico è chiaro.

Ecco perché il tema dovrebbe essere all’ordine del giorno anche in Europa. Stéphane Israël, ceo della società francese Arianespace, ha dichiarato in un’intervista a France Info che l’Europa potrebbe dotarsi di un veicolo di lancio per astronauti entro il 2030 con idonei finanziamenti e con opportuni adattamenti del lanciatore Ariane 6 in corso di sviluppo. Egli sostiene fortemente quest’idea e vorrebbe vederla in agenda alla prossima riunione ministeriale dell’Esa prevista nel 2022. Il commissario europeo Thierry Breton, che è il vero dominus delle politiche spaziali in Europa, è categorico: “Senza un accesso autonomo allo spazio, non può esistere una politica spaziale europea; oltre Ariane 6, dobbiamo guardare al futuro per prepararci ai prossimi sconvolgimenti tecnologici e, senza riposare sui successi passati, l’Ue deve mostrare una vera ambizione nel campo spaziale”.

Nessuno dei due però spiega come dovrebbe essere un’eventuale astronave europea e soprattutto cosa dovrebbe fare. Nel 1992, l’Esa rinunciò a sviluppare le missioni umane dopo aver speso 1 miliardo di euro in studi di fattibilità chiuse il progetto Hermès, una navetta riutilizzabile con equipaggio, che doveva essere lanciata sulla cima del razzo Ariane 5. L’agenzia scelse di collaborare con Usa e Russia per la Stazione spaziale internazionale, lanciando i suoi astronauti con i veicoli russi e americani e l’Ariane 5 fu dedicato solo ai satelliti nonostante il suo sistema propulsivo fosse del tutto simile a quello dello Space Shuttle. Oggi, l’idea di una navetta simile a Hermès torna a circolare e le aziende francesi Dassault e Arianegroup sono sul dossier.

Non potrebbe essere diversamente. La Francia è l’unico paese europeo che ha pubblicato un’esplicita Strategia spaziale di Difesa (leggi qui) in cui si delineano tre linee d’azione: organizzativa, giuridica e operativa. Sebbene nel documento non si espliciti direttamente il concetto di volo umano le misure che la Difesa di Parigi intende mettere in atto riguardano la possibilità di attuare delle “concrete operazioni spaziali militari per le quali occorre sviluppare una completa autonomia di azione”. E di fronte quanto stanno realizzando cinesi, statunitensi e russi è chiaro che per l’Europa parlare di “sovranità e autonomia tecnologica” significa pensare concretamente a sviluppare assetti spaziali diversificati – e interoperabili con quelli statunitensi, aggiungiamo noi – in cui il volo umano possa essere una componente tattica. Occorre prepararsi per tempo.

Ma se l’Europa deve trovare una sua collocazione strategica, l’Italia deve fare altrettanto dati i suoi storici legami con gli Usa. La nostra industria ha realizzato tre moduli logistici per la Iss e ha avuto voli per astronauti grazie agli accordi bilaterali del 1997 siglati tra Nasa e Asi. Tutto ciò consente ai nostri astronauti di avere ruoli di comando sulla Iss e alla nostra industria di avere credibilità internazionale. E dato che sul tavolo del direttore generale dell’Esa si porrà a breve la questione relativa alla selezione del primissimo nucleo di astronauti europei che saliranno a bordo dell’astronave Orion della Nasa per circumnavigare la Luna, il tema assume una valenza politica di rilievo per ciò che ne può conseguire in termini di prospettive mediatiche e di sviluppo. Si tratta di un’opportunità che l’Italia non dovrebbe lasciarsi sfuggire.

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