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Secondo il Times, il primo leader straniero a mettere piede nella Casa Bianca di Joe Biden sarà il premier giapponese Yoshihide Suga. La data è ancora da definirsi a causa della pandemia, ma l’incontro avverrà quasi sicuramente in aprile, racconta la storica testata britannica. Ma si può star sicuri che da Pechino stiano seguendo gli sviluppi con preoccupazione.

Il fatto che il neopresidente americano abbia scelto la sua controparte nipponica per il primo incontro “in presenza” la dice lunghissima sull’importanza strategica del Giappone per gli Usa. Tokyo è un tassello chiave per la costituzione del “Quad”, un’alleanza strategica che include anche India e Australia oltre agli Stati Uniti.

L’obiettivo del Quad, come ha spiegato esaustivamente su queste colonne il nostro Emanuele Rossi, è essere il primo livello di contenimento della Cina, l’unico Paese che dispone della “potenza economica, diplomatica, militare e tecnologica per sfidare seriamente il sistema internazionale stabile e aperto” nelle parole del segretario di Stato americano Anthony Blinken.

Una prima riunione virtuale del Quad è attesa già per questa settimana, salvo complicazioni. Il premier australiano Scott Morrison – che definì l’alleanza “molto centrale” per la strategia regionale di Canberra – ha confermato l’imminenza della videochiamata, e da Tokyo hanno fatto sapere che sperano accada il prima possibile, secondo il Times.

Il rafforzamento dell’alleanza era già stato auspicato a inizio febbraio da Jake Sullivan, il consigliere per la sicurezza nazionale statunitense. Misurarsi con la crescente minaccia cinese è in cima alle priorità estere degli Usa, come già detto più volte da Biden in campagna elettorale e come dimostrato dalle scelte in fatto di Cina della sua amministrazione, grossomodo in linea con quelle di Donald Trump.

Naturale, dunque, che Pechino guardi all’alleanza con diffidenza. Il Quad rappresenta la minaccia ultima di una Nato asiatica, scriveva Rossi, una potenza locale con una strategia in pieno contrasto con le mire egemoniche cinesi. Il nomignolo affibbiato dalla Cina (“mini-Nato”) e gli editoriali del Global Times, megafono estero del Partito comunista cinese, ne tradiscono la preoccupazione.

Dopo il conveniente isolazionismo di Trump, l’arrivo di Biden alla Casa Bianca ha rivitalizzato i rapporti tra gli americani e i loro alleati, a loro volta più disposti a lavorare con Washington per scongiurare la minaccia posta dal Dragone. Ma il Quad esiste dal 2007, seppure a diversi livelli di ufficialità, e l’affinità tra i suoi membri è comunque riscontrabile nelle operazioni svolte assieme.

A ottobre dell’anno scorso il Giappone e gli Usa diedero il via a Keen Sword, un’esercitazione biennale congiunta nel Mar Cinese. A giugno invece partì la ventesima iterazione di Malabar, l’esercitazione congiunta tra Usa, Giappone e India che vide anche la partecipazione dell’Australia in edizioni passate.

Tra gli obiettivi, naturalmente, vi è lo sforzo di deterrenza in direzione di Pechino, impegnata a sua volta in un potenziamento della propria marina militare. Non resta che aspettare il resoconto delle prossime riunioni del Quad per capirne il grado di cooperazione, le implicazioni per la regione indo-pacifica e le possibili conseguenze sulla strategia del Dragone.

Non è però scontato che Tokyo si butti anima e corpo in un consolidamento dell’alleanza con i partner locali e gli americani, se non altro per non assistere alla riduzione della propria importanza strategica nell’Indo-Pacifico. Il Giappone intende sì rivaleggiare con la Cina, ma è contrario a un aumento delle ostilità e rimane un importante partner commerciale di Pechino; motivo per cui è riluttante a sottoscrivere in toto l’idea di una “Nato Atlantica”, una posizione non dissimile da quella europea.

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