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In primo luogo, va fatta chiarezza nella discussione sul cosiddetto passaporto di immunità verso l’infezione Covid-19. Si sta parlando di un certificato di vaccinazione, o di un documento che attesta che la persona in oggetto è immune nei confronti del virus? Si può essere immuni a seguito di una vaccinazione o essere immuni perché si è contratta naturalmente l’infezione.

Mentre la certificazione di vaccinazione è in documento sanitario già previsto, usato o richiesto (per esempio in decine di paesi per specifiche infezioni), un passaporto di immunità è qualcosa di completamente nuovo. Implica che si sia stati diagnosticati positivi e ci si sottoponga a un test per rilevare la presenza nel sangue di anticorpi neutralizzanti il virus. Per esempio, la “green card” usata in Israele è un certificato di vaccinazione, mentre l’Ungheria e quanto pare l’Islanda andranno verso il passaporto di immunità.

I due documenti prefigurano scenari medico-sanitari ed etici in parte diversi. Tutti noi che andremo a vaccinarci saremo registrati e saranno raccolte le informazioni sulla data della vaccinazione, sul vaccino usato, su eventuali effetti collaterali o se per motivi di salute saremo esentati dal vaccinarci, etc. Per gestire il passaporto di immunità, che conterrà anche dati su eventuali guarigioni dall’infezione o di test effettuati in laboratorio per rilevare anticorpi, si stanno organizzando aziende tecnologiche e già si trovano pubblicizzate diverse app per gestire digitalmente l’identità sanitaria definita dagli anticorpi-anticovid e renderla consultabile da ministeri, compagnie aeree, datori di lavoro, etc. che dovranno concedere la recuperata mobilità.

L’uso sia dei certificati di vaccinazione sia dei passaporti di immunità per concedere o negare l’accesso a diritti individuali fondamentali rappresenta una sfida da non sottovalutare per il mondo libero. La discussione ruota sul bilanciamento tra diritti individuali e benefici per la società. Ma ci si dimentica che i benefici economici e sociali conquistati dalle società liberali sono passati attraverso l’ampliamento delle libertà individuali. Quindi ci possono essere solo danni per queste società da qualunque limitazione delle libertà personali. Pensare che le nostre società possano restare a lungo aperte mentre gli individui vengono reclusi per qualche motivazione che non fa riferimento a reati, nelle case o entro i confini nazionali, è pericolosamente ridicolo.

Da più parti si denunciano le incredibili diseguaglianze che scaturiscono da politiche sanitarie che trattano i cittadini come sudditi. Si pensi solo alle persone che non possono vaccinarsi o immunizzarsi per motivi che non dipendono dalle loro volontà, e che sarebbero non solo discriminati nell’accesso al lavoro o al ricongiungimento familiare, ma anche stigmatizzati e magari confusi con i no-vax. Questi ultimi a loro volta potrebbero organizzarsi per truffare sulla loro identità, per esempio facendo falsificare a pagamento da qualche hacker i dati del loro passaporto sanitario digitale. E, comunque, sul piano della privacy e a fronte dei rischi di danneggiare la vita delle persone attraverso l’uso di dati sanitari personali, si vede che la storia dell’Aids/HIV o di altre malattie ereditarie o contagiose non ha insegnato proprio niente.

In ogni paese, e a livello planetario ancor di più, le persone hanno accesso in tempi diversi per motivi causali o per marginalità economico-geografica ai vaccini anticovid, e quindi dovranno subire, a causa di procedure simil-sovietiche la reclusione nel loro paese o non potranno cercare opportunità di lavoro all’estero. Si comprende che Israele stia cercando di incentivare le vaccinazioni offrendo in premio ristoranti, discoteche, spiagge, etc. a fronte dell’esibizione di un certificato. Quello che non si capisce è perché l’accesso alle vaccinazioni non sia anche liberalizzato e sia legalmente consentito a chi è disponibile a pagare, di guadagnare prima i premi.

L’idea di concedere più libertà di movimento e più opportunità usando le certificazioni o i passaporti immunitari su una pandemia in corso e di cui non si comprende l’evoluzione, non è intelligente nemmeno sul piano della coesione sociale. Basta sapere due cose sulla natura umana per prevedere l’emergere di ostilità sociali su basi emotive fra chi avrà gli anticorpi del privilegio e chi ancora non li avrà o non potrà averli.

Peraltro, tutta questa organizzazione per rimettere in moto le società si fonda su una scienza precaria. L’immunità contro SARS-CoV-2 è qualcosa di poco chiaro al momento sia per quanto riguarda il funzionamento sia per la durata. E permangono incertezze sul fatto che i vaccini siano efficaci nel bloccare la trasmissione, ovvero esiste il rischio che a un certo punto le varianti in circolazione costringano a continui pit stop per cambiare i vaccini.

E’ giustificato avere fretta, ma prima di percorrere al buio strade così incerte e accidentate come una segregazione sociale tra immuni e non, sarebbe il caso di pensarci bene. Anche perché le attuali tecnologie diagnostiche consentono già di fare test abbastanza affidabili al bisogno, salvaguardando allo stesso tempo necessità sociali e libertà individuali.

Cos’è il passaporto di immunità. Problemi etici e sanitari

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L’idea di concedere più libertà di movimento e più opportunità usando le certificazioni o i passaporti immunitari su una pandemia in corso e di cui non si comprende l’evoluzione è molto pericoloso, sul piano etico, sanitario e anche di coesione sociale. I rischi secondo Gilberto Corbellini, professore ordinario di Storia della medicina e docente di bioetica presso l’Università di Roma – Sapienza

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