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Arresti extragiudiziali, sequestro di materiale, aggressioni fisiche e anche omicidi. Fare il giornalista in Russia è non solo difficile, ma soprattutto pericoloso. Chi vuole informare in maniera indipendente, oltre la linea dettata dal Cremlino, trova una strada in salita.

I media sono quasi tutti controllati dalla cerchia del presidente Vladimir Putin, arrivato al potere nel 2000. Le testate statali seguono le indicazioni del governo, mentre quelle privati sono proprietà di oligarchi e imprese amiche del governo.

Per il giovane giornalista indipendente Semión Kvasha, a minacciare i professionisti dell’informazione è una “forte pressione politica ed economica, che sta uccidendo il giornalismo in Russia”. Dopo avere lavorato in diverse pubblicazioni russe, ora scrive per la piattaforma americana Coda Story e ironizza al quotidiano La Vanguardia: “Se per la fine dell’anno non siamo considerati agenti stranieri, è un segnale che non stiamo facendo bene il nostro lavoro”.

“Lo Stato controlla tutti i canali tv. È molto difficile che chi si informa con la tv abbia un punto di vista alternativo alla linea del governo”, spiega Matthew Luxmoore, reporter indipendente a Mosca e collaboratore del New York Times.

Dal 2012, in Russia esiste una legge che vieta la pubblicazione di informazione sulla droga, il terrorismo o altri temi sociali considerati delicati perché possono essere “propaganda”. Chi scrive di questi temi rischia la chiusura o anche il carcere.

A fine gennaio, le autorità russe hanno arrestato Sergei Smirnov, direttore di MediaZona, semplicemente per avere ritwittato una barzelletta con un’immagine che includeva la data e l’ora di una protesta. Il giornalista è stato condannato a 15 giorni di carcere per aver violato le regole sull’organizzazione di eventi pubblici.

“Essere un giornalista indipendente in Russia è come essere un’aragosta in una pentola – ha detto Ivan Kolpakov, caporedattore di Meduza al NYT -. Ti stanno bollendo, ma non sai esattamente quando morirai”.

Eppure, c’è chi trova il modo per raccontare le storie che infastidiscono il potere. Con l’uso di applicazioni, social e media, e tutte le risorse a disposizione in rete, giornalisti e attivisti politici si impegnano nell’esercizio del giornalismo investigativo. “C’è una nuova ondata di sbocchi, molti utilizzano fonti non convenzionali per squarciare il velo del potere del presidente Vladimir Putin – si legge sul New York Times -. E c’è un pubblico online sempre più ampio e alla ricerca di questi contenuti, in un paese in cui lo Stato controlla, direttamente o indirettamente, tutte le principali reti televisive”.

Uno dei media più famosi è Probiv. Nato nel 2014 come risposta alla necessità di vendite specializzate, offerta di informazione, prodotti e servizi, molti illegali, questa piattaforma conta migliaia di utenti e milioni di post. Lì si può trovare le informazioni per sottrarre un’azienda o numeri di telefono e geolocalizzazione di una persona che usa Whatsapp. Probiv, che in russo significa “ricerca”, è usata da molti principalmente perché si trova nel deep web, quella parte del “world wide web” non indicizzata dai motori di ricerca più comuni.

Probiv è al centro di una straordinaria rivelazione alla fine del 2020. Il collettivo investigativo internazionale Bellingcat, lavorando con il sito russo The Insider, ha identificato gli agenti di un’unità segreta di spionaggio russa che ha avvelenato Aleksej Navalny. “Un giornalista ha speso ‘qualche centinaio di euro in criptovaluta’ per una raccolta di dati  – si legge sul New York Times -. Poi Navalny, lavorando con Bellingcat, ha chiamato uno di quegli agenti, fingendo di essere un alto funzionario del governo, e l’ha ingannato in una confessione. Quando Navalny è tornato in Russia dopo il suo trattamento in Germania, è stato prontamente incarcerato per violazione della libertà condizionale […]  L’ironia è deliziosa, Putin che vede i suoi stessi strumenti di corruzione e sorveglianza rivoltarsi contro di lui dalla polizia sottopagata e dai funzionari dell’intelligence che mettono in vendita i segreti”.

Tra i reportage riusciti grazie a questi strumenti non convenzionali ci sono la scoperta fatta da Proekt della famiglia secreta di Putin, e la fortuna di 100 milioni di dollari (con origini nello Stato russo) della donna legata al presidente. Inoltre, il NYT racconta le prove sul patrimonio dell’ex genero di Putin – collegato a organizzazioni statali – grazie alle email a cui ha avuto accesso IStories. RBC ha approfondito “la fattoria dei troll che interferisce nelle elezioni statunitensi” mentre Meduza ha esposto la corruzione nei business dei funerali del governo locale di Mosca.

È molto accesso il dibattito sull’aspetto legale e morale di questi strumenti, giacché non si dovrebbe pagare per informazioni rubate. “Al pubblico non importa se hai acquistato i dati o li hai ricevuti da una fonte – ha spiegato Roman Anin, fondatore di iStories -. Dal momento che viviamo a un paese in cui le autorità stanno uccidendo i leader dell’opposizione, dimentichiamoci di queste regole, perché queste storie sono più importanti delle nostre regole etiche”.

Il boom del giornalismo d’inchiesta in Russia. Nonostante la repressione

Fare il giornalista (indipendente) in Russia è difficile e pericoloso. Ma c’è chi ci prova (riuscendoci) usando strumenti poco convenzionali, come l’applicazione di ricerca Probiv. Ma è moralmente giusto diffondere informazioni rubate o comprate? “In un Paese in cui ammazzano o avvelenano chi dà le notizie, la questione etica passa in secondo piano”, dice il fondatore di IStories

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