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Mario Draghi è di destra o di sinistra?”, è una delle domande più cercate sul web da quando l’ex presidente della Bce è stato incaricato di guidare il governo. Un interrogativo che a prima vista può apparire ingenuo, ma che in realtà fa trasparire il vero scoglio che il premier sarà costretto a fronteggiare.

Destra e sinistra, per quanto possano essere ritenute classificazioni polverose, restano infatti le principali coordinate utilizzate dagli elettori per orientarsi nell’intricata geografia politica italiana.

Due categorie che si trasformano col tempo, che trovano nuovi interpreti ed intercettano bisogni inediti, ma che finora (al netto di numerose profezie sul loro destino) non sono mai scomparse, anche perché la possibile (oggi, non ieri) dimensione “strategica” dell’accordo tra Pd, LEU e M5S altro non fa che ricostruire la dimensione bipolare del nostro sistema politico.

Ecco quindi che anche un esecutivo come quello di Draghi, gemmato all’insegna della neutralità e della concordia nazionale, si troverà ben presto a dover fare i conti con le rivendicazioni che proverranno dai due schieramenti.

Un esempio su tutti ci arriva dall’ultimo lavoro Swg sulle priorità indicate dai sostenitori dei principali partiti di governo. Sia per gli elettori leghisti che per quelli del Pd e dell’M5S sono le tasse ad essere in cima alla lista dei temi su Tcui intervenire al più presto. Tuttavia, la stessa urgenza si declina in maniera diametralmente opposta.

Da una parte ci sono i supporter dem e quelli pentastellati che sostengono la necessità di una “lotta all’evasione fiscale”. Un’esigenza che si traduce in un inasprimento delle sanzioni per i reati di natura tributaria e che finisce per abbracciare i cavalli di battaglia di sempre della sinistra, a partire da un aumento delle imposte sui grandi patrimoni.

Sul versante opposto spiccano i seguaci del Carroccio che invece invocano una “riforma fiscale”. L’assunto di base qui è l’opposto. Si parte dall’idea che le tasse siano un macigno che soffoca i cittadini e si arriva a teorizzare un alleggerimento del carico. L’emblema di questa linea è la flat tax a lungo celebrata da Salvini (ma che certamente non sarà attuata da Draghi).

 

 

Il premier si troverà dunque a dover mediare tra due forze che fanno parte della stessa maggioranza, ma che sono praticamente agli antipodi su molte questioni.

Due blocchi che, inoltre, dopo la valanga di espulsioni tra i grillini hanno assunto quasi lo stesso peso nell’ingarbugliato pallottoliere di Palazzo Madama. Sono infatti 116 (sempre che non ci siano nuove estromissioni) i senatori dell’intergruppo PD – M5S e Leu, nato per formalizzare il centrosinistra giallorosso che ha sostenuto il Conte bis. Mentre ad una sola lunghezza (115) c’è il fronte del centrodestra istituzionale composto da Forza Italia e dalla “nuova” Lega che ha detto addio al sovranismo.

Il bipolarismo che, seppur imperfetto, ha dominato per anni la competizione elettorale in Italia, torna dunque di prepotenza attuale, pur essendo (per ora) racchiuso all’interno degli equilibri di governo. Dinamiche politiche che però rischiano di creare le prime crepe nel consenso dell’esecutivo. Crepe che, a dirla tutta, già si vedono.

 

Qualche mal di pancia infatti è già emerso dopo l’annuncio della squadra di governo.

La lista dei ministri ha fatto registrare una lieve ma repentina flessione nella percezione di efficacia dell’esecutivo: dal 58% al 51% nel giro di una settimana. Una dimostrazione che alcune figure dai connotati troppo politici sono risultate indigeste per gli elettorati rivali. Così se per i supporter di centrosinistra nomi come Brunetta e Gelmini rievocano immediatamente la stagione berlusconiana, al contempo per quelli di centrodestra la conferma di Di Maio e Speranza è tutto fuorché cosa gradita.

Al netto dell’armonia di facciata, centrodestra e centrosinistra sono pronti a darsi nuovamente battaglia come dimostrano le roventi polemiche sulla chiusura degli impianti sciistici.

Viene dunque spontaneo chiedersi se la “pax draghiana” riuscirà a durare a lungo o se le schermaglie partitiche prenderanno presto il sopravvento. In attesa di avere maggiori elementi, una cosa la possiamo comunque affermare con certezza: governare in Italia è una brutta bestia, perfino per uno con la stoffa di SuperMario.

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