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È nato il fronte delle sovraniste (digitali) europee. Quattro leader del Nord Europa, Angela Merkel (Germania), Kaja Kallas (Estonia), Sanna Marin (Finlandia) e Mette Frederiksen (Danimarca) hanno scritto una lettera a Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, per esortarla a promuovere una rivoluzione in chiave europea, di fatto anti-Big Tech e anti-cinese.

Le firmatarie lamentano il fatto che “le dipendenze e le carenze nelle nostre infrastrutture, competenze e tecnologie digitali sono diventate sempre più evidenti.  Una quantità significativa di valore aggiunto e innovazione avviene al di fuori dell’Europa”.

E poiché “i dati sono diventati una valuta che viene raccolta e immagazzinata principalmente al di fuori dell’Europa, e i valori democratici fondamentali sono sottoposti a forti pressioni nella sfera digitale globale”, tocca a Bruxelles promuovere un mercato unico digitale e una vera sovranità digitale. La parola “sovranità” ricorre ben nove volte nella lettera, nella quale si identificano tre passaggi da compiere per sganciare i paesi membri dalla dipendenza straniera.

In primo luogo, bisogna identificare sistemi di tecnologie e settori strategici. Per capire in quali ci potrebbero essere “debolezze o dipendenze ad alto rischio che potrebbero causare carenze di forniture o rischi di cybersicurezza”. Un discorso simile a quello fatto da Biden sulle supply chain nel suo recente ordine esecutivo.

Il secondo passo è quello di policy. Stabiliti i settori e le tecnologie strategiche, servono mercati e filiere aperte. Altrimenti, “bisogna creare interdipendenze reciproche (in modo che non ci sia una dipendenza univoca verso monopolisti o paesi)”. Nella lettera si fa riferimento esplicito ad alcune tecnologie, ad esempio, che potrebbero essere alternative al 5G sviluppato dalle società cinesi, come l’openRAN.

Il passo finale è quello di istituire un sistema di monitoraggio permanente, in grado di “anticipare sviluppi digitali, identificare i nostri punti di forza e punti deboli, e definire misure e strumenti concreti. Ciò dovrebbe facilitare l’innovazione e lo sviluppo, per garantire che l’Europa rimanga sovrana, sicura, competitiva e leader nelle tecnologie digitali”.

La lettera si chiude con il proposito di affermare i valori e regole democratici nell’era digitale “a casa e all’estero”. Quindi uno sforzo value driven che dovrebbe escludere da questi rapporti chi non rispetta diritti e principi che si applicano nell’Unione. Il tutto seguendo “un percorso verso una sovranità digitale” (ancora) “che sia auto-determinata e aperta”. Sovranità aperta, dunque. Una contraddizione?

A Bruxelles si mormora che Ursula von der Leyen abbia intenzione di diventare la reale interlocutrice, sui temi del digitale, di Cina e Stati Uniti. Finora, questo ruolo lo ha ricoperto la danese Margrethe Vestager, commissaria europea per la Concorrenza dal 2014 e unica figura politica davvero temuta nella Silicon Valley. L’altro nome di peso, per le questioni sollevate nella lettera, è il francese Thierry Breton, commissario per il Mercato interno e i servizi.

Parrebbe dunque che von der Leyen abbia concordato con Merkel la lettera, così da ottenere un’investitura formale da parte di quattro paesi membri. Per trattare con gli Stati Uniti e i giganti della Silicon Valley, “costruendo una solida relazione transatlantica” ma sottolineando il fatto del fatto che l’Europa non intende più lasciare che i dati dei suoi cittadini vengano custoditi altrove.

Insomma, la lettera muoverà non pochi equilibri, con un pezzo di Nord Europa che vuole sganciarsi dalla dipendenza da certe tecnologie e piattaforme, costruendo, a tavolino, un suo ruolo di terza potenza tecnologica. Non facilissimo visto che alcune aziende sono avanti anni luce rispetto ai rivali europei e in alcuni paesi (Francia in testa) si punta su campioni nazionali e non certo continentali.

Merkel e le "sovraniste digitali" europee contro Cina e Silicon Valley

Le leader di Germania, Danimarca, Finlandia ed Estonia scrivono una lettera a Ursula von der Leyen per investirla del ruolo di campionessa della sovranità digitale europea. Un modo per scavalcare Vestager e Breton e andare all’attacco della dipendenza dalle tecnologie cinesi e americane

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