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Con l’acqua alla gola e l’ora X a una sola settimana di distanza, il Brexit deal è stato raggiunto. Il processo iniziato con il referendum del 2016, quando il Regno Unito votò tramite referendum per uscire dall’Unione europea, si conclude con un accordo di 2,000 pagine che sancisce i termini della nuova relazione.

La fine del negoziato pluriennale, posposta più volte a causa delle giravolte di due diversi governi britannici, è stata ritardata ulteriormente dalle ultime frizioni tra le parti. Nello specifico, rimanevano da appianare due controversie: l’accesso europeo alle acque britanniche per la pesca, un punto fermo per Londra, e il level playing field, la parità di condizioni per il commercio, ossia la maniera di Bruxelles di salvaguardare il mercato unico europeo da concorrenza sleale.

“Bene che UE e UK abbiano raggiunto un accordo”, scrive su Twitter il presidente della Commissione Esteri della Camera e deputato del Pd Piero Fassino, “adesso lo si applichi in modo da evitare inutili disagi a cittadini e imprese. E poi si lavori subito per realizzare un Partenariato solido, perché comunque Ue e Uk hanno mille interessi comuni e hanno bisogno l’uno dell’altro”.

 

IL SOLLIEVO DI VON DER LEYEN E BOJO

Mentre i giornalisti inglesi aspettano fuori dal numero 10 di Downing Street, il premier inglese Boris Johnson si limita a twittare vittoriosoThe deal is done”. Nel frattempo, la presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen appare davanti alle telecamere di Bruxelles, fiancheggiata dal capo negoziatore europeo, Michel Barnier. Sembrano entrambi sollevati.

Il deal raggiunto è un accordo di libero scambio, senza tariffe né quote, ma Von der Leyen sottolinea che si tratta di un accordo equo e capace di garantire una relazione funzionale. “Abbiamo protetto il nostro level playing field”, dichiara la presidente, “e abbiamo stabilito misure efficaci per far rispettare le regole di competizione”.

Interviene poi Barnier, che chiarisce (e si dispiace) che il Regno Unito abbia deciso di tagliare i ponti con l’Europa per quanto riguarda i domini di politica estera, difesa comune, intelligence, protezione dei dati e della privacy, università, ricerca e programma Erasmus. L’accordo sancisce anche la fine del libero movimento tra i confini.

In chiusura, Von der Leyen cita Shakespeare (“parting is such sweet sorrow”) e T.S. Eliot per rimarcare l’amarezza europea nel vedere un partner storico sciogliere il legame. “So che questo è un giorno triste per molti”, rimarca la presidente. “Questo negoziato, alla fine, si riduceva a una questione di sovranità. Per noi, la sovranità è poter muoversi, lavorare e vivere in 27 Paesi. In questo momento, l’Unione europea è la prova vivente di come questo possa accadere”.

Pochi minuti dopo, appare in collegamento un raggiante Johnson, annunciando che tutte le richieste di coloro che l’avevano votato sono state soddisfatte. “Abbiamo ripreso il controllo delle nostre leggi e del nostro destino”, asserisce il premier inglese, “e abbiamo chiuso il nostro accordo più grande finora, del valore di £660 [€733] miliardi”.

Per tranquillizare i cosiddetti hard Brexiteers, ossia coloro che auspicavano un taglio netto con l’UE, Johnson assicura subito che l’accesso al mercato unico europeo non sarà dettato dalla Corte europea, ma da un’autorità indipendente. Entrambe le parti potranno infatti imporre sanzioni unilaterali, se penseranno che l’altro non rispetti i termini del contratto.

Per la pesca, chiodo fisso dei britannici (e valevole 0.1% del loro Pil), l’accordo prevede una condivisione delle acque britanniche per i prossimi 5 anni, entro i quali si stabilirà il futuro dell’accordo.

“Ai miei amici europei, voglio dire che questo accordo porta una nuova stabilità e sicurezza alla nostra relazione. Saremo i vostri amici, i vostri alleati, i vosti sostenitori, e il vostro mercato numero uno. Rimarremo culturalmente, emotivamente, storicamente, strategicamente, geologicamente attaccati all’Europa”, ha poi dichiarato Johnson, prima di passare alle domande.

Una giornalista del Wall Street Journal, Laurence Norman, elenca su twitter i programmi Ue di cui il Regno Unito continuerà a far parte, da Horizon Europe all’Euratom Research and Tranining Programme, da Copernicus ai servizi satellitari SST.

CHE SUCCEDE ORA?

Johnson spera che il deal sarà ratificato dal parlamento britannico il 30 dicembre, mentre i parlamentari europei si confronteranno sul tema nel 2021. A meno di colpi di scena, l’accordo entrerà in vigore il 1 gennaio 2021.

C’è però un’ombra che si staglia su Londra. Appena prima della conferenza stampa di Johnson, Nicola Sturgeon, prima ministra scozzese, ha dichiarato via Twitter che “Brexit sta accadendo contro il volere degli scozzesi, e nessun accordo potrà compensare quello che Brexit ci sta toogliendo. È tempo di tracciare il nostro futuro in qualità di nazione indipendente ed europea”. In Scozia si voterà nel 2021, e una vittoria di Sturgeon e del suo partito nazionalista scozzese sarà interpretata come un mandato di rottura con Londra. Il Galles e l’Irlanda del Nord, anche loro scontenti di questa versione di Brexit, guardano con interesse.

La stessa Sturgeon ha dedicato un altro, duro cinguettio all’accordo per la sospensione della partecipazione del Regno Unito al programma europeo Erasmus. “Mettere fine a un’iniziativa che ha espanso le opportunità e gli orizzonti per così tanti giovani è vandalismo culturale da parte del governo britannico”.

 

COSA CAMBIA PER L’ITALIA?

Quali effetti avrà il deal raggiunto in calcio d’angolo per l’Italia? Un focus dell’Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale) spiega che il Belpaese sarebbe stato comunque fra i meno esposti al rischio di un no-deal, “l’anno scorso solo poco più del 5% delle nostre esportazioni era diretto verso il Regno Unito”.

I numeri del commercio bilaterale, tuttavia, dimostrano che l’intesa last minute è una buona notizia anche per Roma. L’Italia vanta infatti “il terzo maggiore surplus commerciale europeo nei confronti di Londra (12 miliardi di euro l’anno). Un surplus peraltro in aumento negli ultimi anni, e che oggi rende il Regno Unito il quinto importatore di beni italiani“. Tra i settori più esposti al rischio di nuovi dazi (e che ora invece tirano un sospiro di sollievo) “la meccanica strumentale, il tessile, il chimico e l’agroalimentare”.

“Aver raggiunto un accordo, seppur in extremis, è un risultato positivo. Magari non si tratta del miglior accordo possibile (quale lo sarebbe per tutti?), ma quanto meno non aggiunge altra incertezza in un mondo che ne ha già troppa – spiega Antonio Villafranca, Ispi Director of Studies and Co-Head, Europe and Global Governance Centre, “Johnson ha cercato di salvare (in parte) la faccia impuntandosi sulla pesca, ma l’Ue non ha giustamente ceduto sui principi e regole del suo mercato interno. Ci sarà tempo per criticare questo o quel punto dell’accordo – Westminster e Parlamento Ue ne avranno l’occasione a breve – ma al momento l’accordo sembra proprio un regalo di Natale”.

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