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Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha ritenuto opportuno intervenire nel pomeriggio per chiarire la sua posizione sul conferimento della cosiddetta delega ai Servizi. La materia è quanto mai delicata e riguarda il cuore delle istituzioni repubblicane.

Ha precisato che la legge assegna la responsabilità dell’intelligence proprio al capo dell’esecutivo, che eventualmente può conferire una serie di funzioni. Va precisato che alcune di queste sono attribuite in via esclusiva al presidente del Consiglio e non è possibile trasferirle: l’alta direzione e la responsabilità generale della politica dell’informazione per la sicurezza, l’apposizione, la tutela e la conferma del segreto di Stato; la nomina e le revoca dei direttori e dei vice direttori del Dis e delle Agenzie.

Da quando l’Italia nel 1977 si è dotata di una legge per regolare la delicata materia dell’intelligence, si sono susseguiti 34 esecutivi (dall’Andreotti III al Conte II), in 16 dei quali i presidenti del Consiglio hanno gestito direttamente i Servizi. Nei casi in cui la delega è stata assegnata, il premier ha individuato rigorosamente qualcuno del proprio partito, o esponenti di assoluta fiducia politica (Gianni Letta con Berlusconi, oppure Enrico Micheli con Prodi) o tecnica (Gianni De Gennaro con Monti, nomina effettuata dopo sei mesi dall’insediamento dell’Esecutivo e finora senza precedenti).

C’è un solo caso di discordanza politica tra presidente del Consiglio e responsabile delegato ai Servizi e si è verificato durante il D’Alema I in cui il capo del governo era dei DS e la funzione è stata assegnata al vice presidente Sergio Mattarella del PPI. Come si ricorderà, quello fu un governo particolare nato con l’apporto determinante di Francesco Cossiga e durante il quale venne combattuta, tra il febbraio 1998 e l’11 giugno 1999, la guerra del Kosovo.

Già nel successivo esecutivo, guidato sempre da D’Alema, la delega venne assegnata a Marco Minniti, che ha svolto questo ruolo anche nei governi Letta e Renzi. Da parte di tanti si dichiara che la materia dell’intelligence debba essere usata con la massima cura tenendola al riparo dalle polemiche politiche, tanto più se sono interne alla maggioranza.

Si dovrebbe pertanto provare a riflettere su alcuni aspetti. Il primo è che è legittimo che la delega ai Servizi venga gestita direttamente dal presidente del Consiglio, come è accaduto peraltro in quasi la metà degli esecutivi repubblicani che si sono succeduti dal 1977 in poi; tra gli altri quelli guidati da Andreotti, Spadolini, Craxi, Amato, Ciampi e Gentiloni.

Il secondo profilo è che quando la delega è stata assegnata, per la estrema delicatezza della funzione, di solito il presidente ha individuato un esponente dello stesso partito. La situazione eccezionale che stiamo vivendo richiede una politica della sicurezza nazionale che tuteli gli interessi delle istituzioni, dell’economia e dei cittadini.

Il nostro Paese sta subendo più di altri l’impatto del Covid-19, sia in termini di persone decedute e contagiate che di riduzione del Pil. Tutto ciò comporta il rischio (se non la certezza) che gli asset strategici nazionali possano essere oggetto di attenzione da parte di interessi ostili (come più volte ha fatto rilevare il Copasir guidato da Raffaele Volpi), così come la criminalità organizzata tenta di espandere sempre di più il proprio raggio di azione, persino nella distribuzione dei vaccini.

Pertanto, il presidente del Consiglio, che ha provveduto a stabilizzare i vertici dei Servizi in questa fase così incerta, può legittimamente non conferire la delega per l’intelligence.

In alternativa, il premier potrebbe valutare la possibilità di nominare quale sottosegretario una persona di sua assoluta fiducia. In questo modo si potrebbe avere un responsabile che segua esclusivamente questo settore strategico in un momento così delicato, come mesi fa avevo auspicato. Quello che occorre assolutamente evitare è trasformare l’intelligence in argomento di polemica politica perché di questo non si avverte proprio la necessità.

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