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Mentre parlava in onda su Rossiya 24 – canale all news statale – il presidente russo Vladimir Putin ha detto che il sito di investigazione Bellingcat e Alexei Navanly devono per forza essere collegati alla Cia, “altrimenti non sarebbero riusciti a ottenere quelle informazioni”. Si riferiva alle informazioni che il sito ha pubblicato sull’avvelenamento – ad agosto – del leader della lotta alla corruzione russa: un’ampia ricostruzione che incastra l’Fsb (l’agenzia di intelligence interna erede del Kgb). Di fatto Putin non smentisce quella ricostruzione – anche se poi ci gira intorno con frasi come “se fossero stati i nostri avrebbero portato la cosa a buon fine” – ma accusa il sito e l’attivista politico di essere amici dell’intelligence statunitense. Un rigurgito tipico dei regimi autoritari che nel momento in cui ved0no esposte pubblicamente le loro malefatte entrano in difficoltà e reagiscono attaccando nemici ben individuabili dalla massa.

LE RIVELAZIONI

Nei giorni scorsi un gruppo di testate internazionali, tra cui Bellingcat,  e poi la Cnn il sito russo The Insider e la rivista tedesca Der Spiegel, e la collaborazione del País, ha condotto una inchiesta monstre che rivela una “quantità implausibile di coincidenze” (scrive Bellingcat) che lasciano pensare che l’Fsb sia implicato nell’avvelenamento di Navalny. Breve recap: l’attivista – che nel circolo del potere russo ha molti nemici, perché ha scoperto molte linee di corruzione dentro e fuori al Cremlino e le ha esposte all’opinione pubblica – si è sentito male il 20 agosto mentre era su un volo aereo che lo stava riportando a Mosca da Tomsk, in Siberia. Era stato lì per tenere la campagna elettorale per le amministrative (la sua presenza tra l’altro ha portato risultati). L’aereo aveva fatto un atterraggio di emergenza a Omsk, dove Navalny era arrivato in condizioni critiche.

Spostato all’ospedale Charité di Berlino dopo una dura trattativa tra Angela Merkel e Putin, si scoprì che era stato avvelenato da un agente nervino, probabilmente un derivato moderno del Novihock – un veleno d’epoca sovietica che l’agenzia di intelligence militare russa due anni fa ha usato per cercare di uccidere un commilitone scappato in Inghilterra, Sergei Skripal. Alcuni laboratori indipendenti e l’Agenzia per il controllo delle armi chimiche dell’Onu, l’Opcw, hanno confermato le analisi dei medici tedeschi. Il Cremlino e le sue strutture sono state chiamate in causa direttamente per chiedere chiarezza, ma Mosca ha sempre detto di non essere coinvolta. Il caso è stato enorme, perché Navalny è una figura simbolica dell’opposizione a Putin – e il suo avvelenamento raccontava di un presidente russo in cima alla lista dei cattivi attorniato da una cerchia spregiudicata che eseguiva missioni per eliminare i rivali. Attualmente non è chiaro come sia stato somministrato il nervino all’attivista russo, forse mentre si trovava in albergo la sera prima di imbarcarsi.

L’OPERAZIONE E LA CATENA DI COMANDO

Bellingcat ha scoperto (e ha anche spiegato come in un articolo a parte) che esiste un gruppo clandestino formato da sette agenti dell’Fsb specializzati nell’uso di tossine di vario genere, e che alcuni di questi seguivano Navalny fin dal 2017. Il sito ha pubblicato i nomi di tre persone che sarebbero state in Siberia (almeno uno proprio a Tomsk) nei giorni dell’avvelenamento; uno di loro era vicino all’albergo in cui dormiva l’attivista. Secondo quanto rivelato, questa unità speciale sarebbe stata organizzata e guidata da alti ufficiali dell’Fsb. Tramite tabulati telefonici Bellingcat ha individuato contatti tra questi agenti e un colonnello speciale dell’intelligence che riferisce direttamente ad Alexander Bortnikov, il capo dell’agenzia che a sua volta ha un solo superiore: Vladimir Putin. Il 15 ottobre Bortnikov è stato sanzionato dall’Ue insieme ad altre cinque persone e “un’entità statale” (l’Istituto statale di ricerca scientifica per la chimica e la tecnologia organica, Gos-NIIOKhT).

Questi contatti sono stati tracciati già a luglio, quando Yulia Navalnya, la moglie del politico di opposizione, si sente male durante una vacanza a Kaliningrad e la coppia pensa subito a un avvelenamento. Non a caso, poche ore dopo che Yulia si è accasciata su una panchina, incapace di camminare e parlare, Vladimir Bogdanov, colonnello dell’Fsb tra i massimi funzionari dell’intelligence vola a Kaliningrad e chiama Bortnikov. Tutti gli agenti coinvolti – alcuni con specializzazione mediche e chimiche – sono collegati al Nii-2, formalmente un laboratorio di San Pietroburgo in cui l’Fsb teoricamente conduce ricerca forense ma in realtà pare sviluppi veleni e armi chimiche. Nonostante tutto però – nonostante nomi, fotografie, collegamenti, tabulati telefonici e ricostruzioni che portano prove sin dal 2017, quando Navalny annunciò di volersi candidare a presidente e la squadra lo prese sotto controllo più stretto –, nonostante tutto questo sia stato reso pubblico ancora non c’è stata nessuna reazione da parte della Comunità internazionale.

LA PARTITA POLITICA…

Forse il relativo silenzio sulle ultime evoluzioni si lega alle dimensioni del set di prove uscite in questi giorni, che è enorme quanto schiacciante: per questo c’è bisogno di tempo per formulare una reazione seria – soprattutto da parte dell’Ue, che con Merkel ha ingaggiato fin dall’inizio la battaglia per la verità sul caso Navalny. Il Cremlino ha bloccato per due giorni l’appuntamento telefonico con i media internazionali, per prendere tempo: impossibile pensare che la quesitone non venisse tirata in ballo, e allora il portavoce Dmitri Peskov ha messo tutti in attesa per studiare la reazione. Che è arrivata per bocca di Putin.

Il presidente russo ha parlato della vicenda durante la conferenza stampa di fine anno, dominata da questioni interne (soprattutto economiche e sociali, rilanciando che a fine anno il Pil russo andrà meglio di quello di molti paesi Ue) e organizzata con un preciso perimetro di protezione per evitare sorprese dalla stampa. Ha ammesso che i servizi segreti seguivano l’oppositore – ma intendeva l’Oru, l’ufficio politico dei servizi, non l’Fsb e la sua squadra killer – e ha aggiunto sarcastico che lo fanno perché “è sostenuto dalla Cia”. La narrazione sulla vicenda è stata dominante rispetto al valore dei contenuti.

… E LE DEBOLEZZE DI PUTIN

Secondo quanto scritto dal New York Times anche la Cia e l’Mi6 inglese sapevano tutto: tanto che quando Navalny arrivò a Berlino fornirono all’intelligence tedesca un pacchetto di informazioni complete sugli agenti russi coinvolti nelle operazioni contro l’attivista – era una forma minima di sicurezza, vista la sensibilità dell’ospite. Putin ha parlato di “legittimazione dei materiali dei servizi segreti Usa” quando gli è stato chiesto, con molte attenzioni, dell’inchiesta di Bellingcat, e non ha mai chiamato Navalny col suo nome – “il paziente di Berlino” o “il blogger”, lo ha definito. Se c’è un aspetto che esce dalle dichiarazioni di Putin e dalla vicenda in generale riguarda proprio l’autocelebrazione propagandistica poco attinente alla realtà: per esempio, non è vera l’infallibilità dei servizi russi di cui si è vantato (il fare “il lavoro fino in fondo”), anzi recentemente sono stati protagonisti di svariati flop – come nel caso di Skripal.

Poi ha deriso Navalny, “ma chi lo vuole avvelenare!? Fa ridere!”, ma non nominandolo ha dimostrato di temerlo, arroccato nel suo podio (da remoto, protetto da una cortina di quarantena preventiva a cui sono stati sottoposti i giornalisti). La conferenza stampa ha girato su ritmi lenti, Putin non è stato (più) il leader travolgente che sposta le menti e i cuori del suo popolo. È sembrato stanco, anche mentre si vantava dei successi della Russia nella lotta al Covid, del vaccino e del ruolo di Mosca nelle questioni internazionali. E l’uso del sarcasmo appare un’ulteriore debolezza – abbinata alle ricostruzioni sghembe del Cremlino sul caso Navalny che inizialmente parlava di un malumore e recentemente, d’incanto per bocca del ministro degli Esteri, è arrivato a dire che è stato avvelenato dai tedeschi perché era un agente della Cia.

(Foto: Kremlin.ru)

Su Navalny Putin mostra le sue debolezze. Ecco perché

Il presidente russo parla dell’avvelenamento dell’attivista russo, senza mai chiamarlo per nome, durante la conferenza stampa annuale. Rilancia sull’innocenza del Cremlino, sarcastico si bulla che se i servizi russi fossero stati coinvolti avrebbero fatto “il lavoro fino in fondo”, ma appare in difficoltà

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