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I dibattiti sulle nuove tecnologie risentono spesso di astrattezze e velleitarismi. A beneficio del nostro Paese e dell’aderenza alla realtà delle politiche nazionali e dell’Unione europea, della quale l’Italia è stata uno degli Stati fondatori, conviene partire dai dati

di fatto. Le memorie di banche dati fondamentali del nostro Paese si trovano in molti casi fuori dal territorio nazionale e all’esterno dell’Ue. È così anche per altre nazioni europee. La leadership nella realizzazione di invenzioni e scoperte è europea solo in piccola parte.

Sarebbe impensabile cambiare questo stato di cose dalla sera alla mattina o da un mese all’altro. Sarebbe però superficiale e imprudente rassegnarsi a questa condizione chiudendo gli occhi di fronte ai rischi di un mondo in cambiamento, pieno di opportunità, ma non solo di queste.

Autolesionista sarebbe non porsi il problema di ciò che va fatto per recuperare terreno mentre la competizione internazionale diventa sempre più intensa, anche in mesi in cui le frequenti critiche alla globalizzazione non basteranno a rendere l’interdipendenza tra economie portatrice soltanto di benvenute amicizie fra i popoli. La globalizzazione potrà subire mutamenti, tuttavia almeno nel breve e nel medio periodo sarà contrassegnata da competizione e non ci permetterà di abbassare la guardia di fronte a minacce presenti e future alla nostra sicurezza e al benessere collettivo. Innanzitutto alle condizioni di vita degli strati più deboli delle nostre cittadinanze.

Con il progetto Gaia-X, proposto all’inizio da Germania e Francia e consolidato poi con l’impegno del nostro Paese, aziende europee agiscono per definire regole e standard comuni che gettino le basi di una federazione europea di cloud. I mezzi di informazione se ne occupano poco, ma in questa operazione è coinvolto un insieme di avanguardia delle aziende del settore di Paesi dell’Ue.

In Italia durante l’estate il dipartimento per la Trasformazione digitale che guido e la Confindustria hanno illustrato alle imprese potenzialmente interessate le modalità e i propositi del progetto. Finora sono 28 le aziende italiane che hanno aderito a Gaia-X. Non sono poche, sono di rilievo. E ci auguriamo di vederne coinvolte ancora di più.

Si tratta di un percorso avviato, non di un punto di arrivo. Su questo cammino è cominciato un confronto con il ministro tedesco di Economia ed energia Join Peter Altmaier, con quello francese di Economia e finanza Bruno Le Maire, con il commissario europeo al Mercato interno Thierry Breton e con i vertici di imprese del settore. Costruire e rafforzare l’autonomia digitale europea richiederà tempo, ma richiede innanzitutto una direzione di marcia e l’uscita definitiva da incertezze e inerzie non mancate nei decenni scorsi.

Sono convinta che questo passo in avanti verso l’integrazione europea non possa in alcun modo essere inteso come un’uscita dai perimetri tradizionali delle alleanze dei nostri Paesi. Se cerchiamo di raggiungere intese sul digitale con altri Stati europei non è per protezionismo retrogrado.

È perché con questi Paesi – e Germania e Francia sono come noi Paesi fondatori dell’Ue – condividiamo salde tradizioni di democrazia coltivate nella seconda parte del XX secolo, le stesse che poi ci hanno portato ad aprire le porte a fratelli europei separati da noi durante la divisione del mondo in due blocchi, uno alleato degli Stati Uniti e uno sotto il giogo dell’Unione Sovietica.

Quegli stessi valori di libertà – delle opinioni e della possibilità di fare impresa, innanzitutto – non possono non mantenerci in un rapporto privilegiato con Paesi alleati al di là dell’Atlantico, gli Stati Uniti e il Canada, e con democrazie presenti altrove. Sappiamo tutti che l’Europa non dispone oggi dei mezzi per essere alla pari con le capacità tecniche e scientifiche contrassegnate da capillarità su un ampio raggio di azione possedute da grandi gruppi del web basati in particolare negli Stati Uniti e all’avanguardia nelle nuove tecnologie.

Velleitario sarebbe ignorare questo dato di fatto. Rinunciatario, allo stesso tempo, risulterebbe non cercare d’intesa con i nostri partner europei, e senza fare a meno del dialogo con protagonisti del mondo digitale al di là dell’Atlantico, sentieri nuovi per uno sviluppo delle tecnologie. Percorsi in grado di aumentare il nostro diritto di avere voce in capitolo su dati che riguardano le nostre vite, le nostre economie, i nostri sistemi produttivi.

Come confermato di recente dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio “l’Italia è saldamente ancorata agli Stati Uniti e all’Unione europea a cui ci uniscono valori e interessi comuni”. Non è questo ancoraggio a dover essere ridotto dalla ricerca di una maggiore autonomia tecnologica. È il nostro interesse a garantire alle democrazie un futuro di benessere e pace a richiedere, a noi e alle imprese, di potenziare la nostra progettualità e la nostra motivata ambizione.

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