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Il salto è di quelli enormi, forse più lungo della gamba. Con il Digital Market Act e il Digital Services Act l’Ue di Ursula von der Leyen dissotterra una volta per tutte l’ascia nei confronti delle grandi multinazionali tech americane, da Google a Facebook, da Twitter ad Amazon. Le esigenze all’origine della morsa europea, il trattamento dei dati, la tutela della concorrenza, saranno anche ragionevoli. Ma il tempismo, avvisa Giulio Sapelli, storico ed economista dell’Università Statale di Milano, è dei peggiori. Perché a Washington Dc, a gennaio, si insedierà l’amministrazione di Joe Biden, “il presidente della Silicon Valley”. “Non sanno a cosa vanno incontro”.

Giulio Sapelli, l’Ue ha le sue ragioni?

La mossa europea nasce dall’esigenza di colmare un vuoto ontologico dell’estrazione fiscale. E questo vuoto consiste nell’assenza di una base legittimante degli insediamenti umani stabili e di una costituzione che sono da sempre necessari alla riscossione delle tasse. L’Europa continua la sua lunga marcia verso l’abisso.

Addirittura?

Una posizione del genere può essere consustanziale alla presenza di una costituzione europea. Senza di questa è difficile pensare a una simile imposizione fiscale. Oggi l’Ue è retta da trattati fra Stati sovrani. Non ha un vero sistema di diritto ma un ordinamento di fatto e giurisprudenziale, ovvero basato sulle sentenze delle Corti costituzionali nazionali. Un trattamento fiscale come quello imposto sui profitti delle grandi piattaforme multinazionali americane dovrebbe essere oggetto di un apposito accordo fra Stati.

Altrimenti?

Altrimenti l’Ue apre la strada a una dittatura smithiana. Cioè adotta il pensiero di Carl Smith, per cui lo Stato d’eccezione giustifica tutto. Lo stesso che permette agli internazionalisti democratici di giustificare la guerra con i diritti umani. Ma noi sappiamo che il diritto politico dice che non c’è rappresentanza senza tassazione, e non c’è tassazione senza una legittimazione sovrana. Come sia venuto in mente all’Ue di sfidare gli Usa su una questione del genere fa rabbrividire. Siamo a uno stato d’eccezione europeo, i padri del diritto si rovesciano nelle tombe.

Nello specifico, cosa non torna nella normativa presentata da Vestager e Breton?

Tutto. La signora Vestager dovrebbe riprendere in mano gli studi di Louis Brandeis, fondatore della teoria dell’antitrust e della teoria della tassazione che ne deriva. La stessa Vestager che, insieme al signor Breton, ha già cancellato qualsiasi principio di liberalizzazione dell’economia dicendo che bisogna benedire la nascita di campioni nazionali, che la coesione viene prima della competizione. Si sono inventati “la sovranità europea”, dimenticando che la sovranità ha bisogno di un vero Parlamento, che sia dell’uguaglianza come quello di Rousseau, o della libertà come scriveva Benjamin Constant. L’Ue, invece, non ha un vero potere legislativo. Questa non è altro che guerra economica.

È stata la Francia a prendere l’iniziativa sulla digital tax.

Ma almeno lo ha fatto seriamente, in ossequio alla ragion di Stato e di grandi profeti come Charles De Gaulle, di cui non a caso Macron è erede. L’Ue non ha alcuna base giuridica per fare altrettanto.

Adesso cosa succede?

Queste normative ci esporranno a una serie interminata di litigi che non faranno altro che avvantaggiare la Cina e allontanare l’America di Biden dall’Europa. Cioè vanificare l’unica vera buona notizia che era emersa da queste elezioni presidenziali.

Secondo lei sottovalutano i legami fra la prossima amministrazione democratica e la Silicon Valley?

Più semplicemente, queste persone non conoscono nemmeno la biografia di Biden. Un uomo che è cresciuto ed è stato eletto nel Delaware, lo Stato del liberismo economico per eccellenza, dove tutte le multinazionali hanno la loro sede. Biden è l’uomo delle multinazionali, dai tempi di Clinton fino ad Obama. E kamala Harris è il procuratore della Silicon Valley.

L’Italia cosa dovrebbe fare?

Dovrebbe salvare la sua ragion di Stato. Il governo italiano, e in particolare il ministro Amendola, dovrebbe volare a Bruxelles per convincere la Commissione a fare un passo indietro.

Dove sbaglia secondo lei questa Commissione sulla Cina?

Sbaglia l’approccio strategico. Che invece è molto semplice: comportiamoci come facevamo con l’Urss. Con i sovietici commerciavamo senza farci troppi problemi. Ma tutti gli ambiti della sicurezza nazionale, dalle informazioni alle infrastrutture critiche, rimanevano fuori. Ma mi permetta di aggiungere una cosa.

Prego.

Ursula von der Leyen mi ha molto deluso.

Perché?

Mi aspettavo dimostrasse leadership nei confronti della Cina, mi sbagliavo. Conobbi suo padre, Ernst Albrecht, quando ero alla Fondazione Feltrinelli, lo incontrai a Berlino. Un democratico cristiano tutto d’un pezzo, aveva capito che la Germania aveva solo una chance di riscattarsi dal nazismo: combattere la dittatura sovietica. Questa consapevolezza mi sembra che ora manchi.

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