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Da politico e appassionato di politica e dei suoi linguaggi, mi ha colpito guardare e ascoltare la cancelliera Angela Merkel quando pochi giorni fa si è rivolta al popolo tedesco stringendosi il cuore tra le mani, facendosi carico della responsabilità per l’insuccesso delle restrizioni alla vita pubblica decise per limitare l’aumento dei contagi. Con una grazia inusuale in un leader politico ha saputo, e per lei non è la prima volta, chiedere scusa.

Il linguaggio della politica ha questa efficacia, quando è maneggiato con maestria, come sa fare la Merkel. Nel suo caso, mi si conceda osare – sostenuto da un’osservazione dell’amico e filosofo Filippo Onoranti, Phd alla prestigiosa Pontificia Università Lateranense – il termine che viene alla mente è verità, nell’accezione della tradizione della logica occidentale, cioè “le convergenza tra le cose e la mente”.

Il linguaggio della Merkel è al servizio di questo doveroso e all’apparenza impossibile compito. Come è sempre stato. Sintesi, precisione e una tonalità emotiva adeguata hanno sempre distinto le sue parole. Oggi che il rigore si muta in calore e cordoglio, ne abbiamo l’ennesima conferma. Perché questo è il momento, per chi intende raccontare la storia del mondo così com’è, senza retorica, “di fermarsi e piangere”. Angela Merkel non solo lo dice, ma lo fa. E dal Bundestag, non con un tweet o con un post su Facebook, ma in pubblico, in un luogo che attesta come quel cordoglio sia una faccenda seria; l’atto da capo di Stato, non un motto di spirito sulla pubblica piazza (tradizionale o digitale che sia).

Altre intenzioni implicano un tipo di linguaggio differente, e lo abbiamo conosciuto da vicino in questi anni e in questi mesi, specialmente in Italia: quello che punta al consenso.

E che fa uso di una “narrazione” (termine molto abusato in politica negli ultimi anni) che è completamente tesa al consenso. È quel linguaggio incalzante che, osservato con un distacco che esso stesso tenta di rendere impossibile, somiglia all’ostinazione di chi vuole venderci qualcosa. E mostra le sue radici nel gergo pubblicitario: ci raggiunge ovunque e in ogni momento. Social media, giornali, tribune politiche, conversazioni occasionali… tutte le occasioni di comunicare che abbiamo si prestano a ritrasmettere i meme (o slogan se preferite) della comunicazione persuasiva, col fine di ottenere approvazione. La verità non trova spazio in questo orizzonte; non perché il linguaggio del consenso sia mendace, anzi! Racconta la storia – radicalmente vera – di chi vuole, appunto, ottenere consenso! Il premier uscente è solo l’ultimo a finire travolto, forse tradito dal fiume di parole che in precedenza gli hanno spianato il cammino del gradimento da sondaggio. Prima di lui altri, non c’è bisogno di fare elenchi, sono caduti nella trappola della ‘narrazione’ del consenso, dove la teoria, o meglio la retorica, primeggia a discapito della pratica, specialmente della pratica di verità. Tutti costretti a trovare sempre nuovo combustibile per alimentare il falò delle vanità su cui si regge il potere fondato nel solo consenso. Soprattutto se è quello personale, individuale.

Quale linguaggio sceglierà il primo ministro Mario Draghi? Già qualche indizio, che lo accomuna proprio alla cancelliera Angela Merkel, traspare dalla sua totale assenza dai social media. Il professore, il banchiere internazionale, il servitore delle più alte cariche della burocrazia dello Stato, senza bisogno di spendere parole, si mostra e dimostra figura istituzionale. Tutte le arene tuttavia hanno le proprie trappole e la politica è un gioco di equilibri a ogni livello. L’economia non è da meno. Ricordando che la verità è sempre rivoluzionaria la domanda è se gli italiani sono pronti ad ascoltarla.

La ricreazione è finita da un pezzo.

To be continued.

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