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Il presidente della Camera Roberto Fico ha dichiarato a chiare lettere che “non ci sia nulla di male a parlare di una riforma nuova del Titolo V. A capire, dopo alcuni anni, cosa funziona e cosa no, a parlare di materie concorrenze, di scuola e sanità”. Non solo, nel solco di quello che sembra essere sempre di più l’intendimento del premier Giuseppe Conte, il grillino ha aggiunto che “lo Stato centrale può riprendersi qualche competenza, ma dobbiamo avviare un dibattito serio senza sparare sentenze”. Il dibattito, in ordine alla centralizzazione delle competenze concorrenti verso i palazzi romani, è apertissimo. Tanto più che gli azionisti di maggioranza dell’esecutivo, anche a margine degli scenari che la pandemia ha ridisegnato, sono determinati nella revisione. Per avere un quadro completo dello stato dell’arte, anche nella galassia pentastellata, abbiamo chiesto un parere al presidente della prima Commissione Affari Costituzionali alla Camera, Giuseppe Brescia.

Onorevole, la divisione in zone, con differenti limitazioni studiate in base al numero dei contagi nelle regioni italiane, ha fatto tornare d’attualità l’annoso tema della riforma del Titolo V della Costituzione. Da questo punto di vista come valuta i rapporti fra le Regioni e lo Stato centrale anche sulla base degli scenari che la pandemia ha ridisegnato?

La pandemia ha messo in evidenza tutte le criticità della gestione concorrente tra Stato e Regioni di un asset così importante qual è quello della Sanità. Il sistema, messo sotto forte stress dal Covid, evidentemente non ha retto e ha fatto crollare il mito di alcune regioni del nord, come la Lombardia, di cui si tessevano le lodi fino qualche mese fa. I rapporti tra Stato e Regioni purtroppo sono sempre abbastanza tesi e complicati. La politica il più delle volte prevarica i doveri istituzionali e a farne le spese sono i cittadini.

Quali pensa siano i provvedimenti più urgenti da adottare in questo senso? Cioè, la riforma del Titolo V che rotta deve percorrere affinché possa essere virtuosa?

La riforma del Titolo V della Costituzione non va improvvisata, bisognerà studiare approfonditamente come apportare modifiche per ottenere risultati davvero efficaci. Di certo c’è che in alcuni settori, come per l’appunto la Sanità, una maggiore presenza dello Stato mi pare indispensabile. Ma questo non significa rinunciare totalmente a quanto c’è di buono nel concetto di sussidiarietà. Le istituzioni più prossime al cittadino possono sicuramente giocare un ruolo importante nella qualità del servizio.

Stando all’intendimento del premier, pare che la volontà dell’esecutivo sia quella di centralizzare molte delle competenze che ora sono in capo alle Regioni. Quale crede che siano le materie sulle quali lo stato centrale deve avere maggiore liberà, senza essere in qualche modo legato alle Regioni?

Ribadisco, non è una mera modifica all’elenco contenuto nell’articolo 117 della Costituzione che migliorerà magicamente la qualità dei servizi resi ai cittadini. Ciò che si deve mitigare, a mio modesto avviso, sono le continue frizioni tra Stato e Regioni alle quali puntualmente assistiamo, il modo in cui le Regioni recepiscono le indicazioni dello Stato. Un pessimo esempio lo abbiamo avuto proprio in questi giorni in Puglia, la mia regione, dove il governatore Emiliano si è messo a fare i capricci sulla scuola nonostante le chiare indicazioni che arrivavano dal governo centrale, con l’unico risultato di aver disorientato i cittadini. Non lo trovo accettabile.

In tema di competenza concorrente, la gestione dell’ambito sanitario è da sempre uno dei settori sui quali le Regioni hanno maggiore influenza. Alla luce della pandemia, lei pensa che ce ne sia stata troppa?

Credo proprio di sì. Abbiamo un territorio a macchia di leopardo e non credo sia giusto per i cittadini che ci siano Sanità di serie a, b e c a seconda della Regione d’appartenenza. Purtroppo molte volte le Regioni hanno gestito la Sanità pubblica come un bancomat. I casi di malasanità sono tantissimi. Bisogna mettere la parola fine a questo modello. Le risorse a disposizione del Paese col Recovery Fund ottenuto grazie all’ottimo lavoro del presidente Conte sono un’occasione più unica che rara per porre rimedio a questa grave situazione.

Come pensa possa essere la risposta di regioni governate dal centrodestra all’ipotesi di una maggiore centralizzazione, nelle mani dello Stato, di alcune competenze?

Non credo sarà positiva ma tutti dovrebbero cominciare a ragionare più nell’interesse collettivo e meno nella difesa del proprio potere. In un momento così drammatico per il Paese è fondamentale che tutti assumano un atteggiamento più responsabile e meno fazioso. Su certi argomenti, come quello della tutela della salute, non ci sono interessi di partito che tengano.

Pensa che la riforma del Titolo V possa in una certa misura contribuire alla stabilità del governo e a rinforzare la sua leadership?

Io non credo che la stabilità di questo governo sia in pericolo e non posso pensare che si debba mettere mano alla Costituzione per equilibri politici, non è questo il modo giusto di approcciarsi alla nostra Carta fondamentale. Se si vuole discutere di modifiche al Titolo V lo si faccia seriamente.

La Sanità non è un bancomat (e torni allo Stato). Parla Brescia (M5S)

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