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La decisione dell’A.S. Roma di rinunciare al progetto dello stadio a Tor di Valle è, al di là dei contenuti e della qualità dell’iniziativa, un fallimento per tutti: per la società sportiva che, come nel gioco dell’oca, torna alla casella di partenza; per le realtà imprenditoriali coinvolte (compresi i soggetti finanziari), che vedono sfumare gli investimenti fino ad oggi sostenuti; per il comune di Roma e gli altri enti coinvolti, considerato l’enorme apparato di provvedimenti e valutazioni di merito espletate; per la politica, locale e nazionale; senza pensare ai tifosi, che vedono svanire un sogno. Ma, più estesamente, per la città, per la sua economia e ancor peggio per il rafforzarsi dell’immagine di una Roma immobile, “col freno a mano tirato” e che va avanti a tentoni nella polvere sollevata dalle immancabili inchieste giudiziarie.
Ciò malgrado, la nuova proprietà della società sportiva sembra intenzionata a una ripartenza. E quindi oggi si ripropone all’amministrazione e alla città i quesiti posti all’inizio della vicenda. Come e dove scegliere il sito del nuovo stadio? Perché qui e non là? E quindi, quale metodo utilizzare dopo quello dell’“urbanistica concertata” ingloriosamente fallito? Metodo, quest’ultimo, adottato dalla giunta Marino (con la contrattazione nuove cubature/opere pubbliche) e proseguito, dopo un primo ripensamento, anche dalla giunta Raggi con la richiesta di contenimento dell’odiato cemento.
Il dilemma che quindi si ripropone è di come e dove concedere alla società sportiva Roma (e forse non solo) la possibilità di realizzare lo stadio. Questa volta, però, secondo i nuovi desiderata della società che, contrariamente al passato, propone la soluzione “inglese”. Ovvero uno stadio punto e basta. Senza “annessi” immobiliari al proprio seguito e quindi realizzabile anche nella città consolidata.
Immancabile, dopo l’incontro di martedì scorso tra la sindaca Raggi e la nuova proprietà dell’A.S. Roma, è partito il toto-aree: Pietralata, Tor Vergata, Ostiense e, un po’ staccate, le ipotesi Flaminio o Fiumicino.
Qualsiasi sarà la scelta e il metodo per adottarla, è certo che la pesante esperienza fallimentare di un progetto rimasto in gestazione per oltre 7 anni eserciterà una certa pressione sia sull’Amministrazione Capitolina sia sulla società sportiva, per evitare nuovi passi falsi. In questo senso, è certo che la scelta di realizzare uno stadio all’inglese lì dove ne esiste già uno, peraltro in stato di degrado e abbandono da anni, sarebbe forse la scelta più sensata. Se non fosse che l’ipotesi Flaminio sembra già essere stata scartata: troppi vincoli, la Soprintendenza non consentirebbe la realizzazione della copertura, esiste un diritto di veto da parte degli eredi dell’architetto Nervi, non ci sarebbero spazi sufficienti per fare i parcheggi e via dicendo.
Ma è veramente così? A ben vedere, né il decreto di vincolo del 2018 né la relativa relazione prevedono divieti assoluti e preventivi, anzi auspicano il mantenimento della funzione originaria, e in particolare “che gli interventi dovranno rispettarne la struttura, l’impianto originario, nonché le finiture e come questi fattori debbano essere considerati fortemente identitari e non modificabili in una strategia di valorizzazione dell’impianto e come vada, al tempo stesso, rispettata la vocazione e l’originaria destinazione d’uso sia per quanto riguarda la funzione dello stadio sia gli spazi, destinati ai servizi secondari”.
Tale prescrizione, peraltro, dovrebbe essere letta alla luce delle deroghe previste dai commi 1-bis e 1-ter dell’art. 62 del Decreto Legge n. 50/2017, per garantire l’adeguamento e la funzionalità degli impianti sportivi.
Allo stesso modo, il diritto d’autore non sembrerebbe essere un problema. La giurisprudenza, in particolare quella amministrativa, ha riconosciuto che il diritto morale d’autore “può essere esercitato esclusivamente dal suo titolare, essendo egli solo in grado di valutare la compatibilità di nuovi lavori con il disegno artistico originale, eventualmente coordinandoli con quest’ultimo”, non potendo essere imputato nemmeno dagli eredi (Cfr. Consiglio di Stato, sent. n. 1749/2008).
In conclusione non si capisce perché l’ipotesi di rigenerare, come si dice oggi, lo stadio Flaminio, che comunque non può restare un rudere come ora, sia scartata a priori. E quindi l’importate è che le varie opzioni siano valutate tutte “carte alla mano”.
Approfondendo tecnicamente ogni aspetto scevri da giudizi preconcetti, positivi o negativi che siano, e permettere questa volata la reale possibilità alla città di darsi una occasione di crescita attraverso un investimento privato che la doti di una nuova struttura sportiva degna di una capitale europea e, contemporaneamente, riqualifichi un quartiere esistente.

Tutti i dilemmi sullo Stadio della Roma. L'ipotesi Flaminio

Di Sergio Pasanisi e Francesco Angelini

La decisione dell’A.S. Roma di rinunciare al progetto dello stadio a Tor di Valle è, al di là dei contenuti e della qualità dell’iniziativa, un fallimento per tutti. Non si capisce perché l’ipotesi di rigenerare, come si dice oggi, lo stadio Flaminio, che comunque non può restare un rudere come ora, sia scartata a priori

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