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Chi ha detto che Europa e Stati Uniti non possano governare insieme la rivoluzione digitale? È vero il contrario, dice Enzo Amendola, ministro degli Affari europei, volto di punta del Partito democratico e del governo Conte-bis, “abbiamo di fronte una sfida etica”.

Ospite al convegno di Formiche “Tech and democracy. The Alliance We Need” insieme a relatori internazionali e italiani, dall’ex direttore della National Geospatial Agency (Nga) americana Robert Cardillo all’ex vice sottosegretario di Stato agli affari cyber Robert Strayer, dal capo della Rappresentanza in Italia della Commissione Ue Antonio Parenti al professore dell’Università di Parigi Jean-Pierre Darnis, Amendola ha spiegato perché, nonostante tutto, c’è ancora spazio per un’alleanza transatlantica sulle nuove tecnologie.

È un dubbio che si pongono in molti, a due giorni dalla pubblicazione da parte della Commissione Ue di due normative, il Digital Services Act (Dsa) e il Digital Market Act (Dma), che promettono di rattizzare i carboni ardenti fra Bruxelles e la Silicon Valley, con un inasprimento senza precedenti della legislazione antitrust e un controllo molto più stringente su contenuti, privacy, gestione dei dati delle big tech americane, da Google a Facebook passando per Amazon.

Le distanze non mancano, ha riconosciuto Amendola, ma non sono incolmabili. “Le proposte della Commissione non sono da leggere in termini di contrapposizione a qualcuno, ma nell’ottica di ricostruire una autonomia strategica”, dice. “Al tempo stesso, lo sviluppo tecnologico non può essere arrestato dalla normativa, la cooperazione fra privati deve andare avanti e il progetto per il Cloud europeo Gaia X ne è un esempio lampante”.

La nuova normativa Ue “non taglierà fuori la possibilità di uno sviluppo comune sulle tecnologie critiche, dal 5G all’Intelligenza artificiale, dal Quantum computing ai big data”, spiega il ministro. “Certo, ci arriviamo con un po’ di ritardo. L’Europa è sempre veloce con gli slogan, ma ci vuole tempo prima che l’architettura normativa prenda forma”.

Questa volta però è diverso. Perché “forse per la prima volta nella storia recente dell’Ue i messaggi sono accompagnati dalle risorse, da fondi che rendono l’autonomia strategica una prospettiva concreta e non retorica”. Cioè il Next generation Eu, ai cui negoziati Amendola ha lavorato per mesi in prima linea con il premier Giuseppe Conte, che solo per l’Italia prevede più di 48 miliardi di euro destinati alla digitalizzazione.

Non conta ovviamente solo quanto investire ma anche come usare le nuove tecnologie. Si gioca tutta qui, dice Amendola, la “sfida etica” di Ue e Usa di fronte alla rivoluzione tech, “nella tutela della trasparenza e nell’assunzione delle responsabilità, ma anche nella difesa della nostra comune idea di democrazia liberale, che non è, come qualcuno dice, un vecchio strumento da rottamare”.

È questo uno dei nodi al centro della sfida, ad esempio, della rete 5G al centro della contesa fra Stati Uniti e Cina. Amendola non ha dubbi sulla linea italiana: “Diversi Paesi in Europa stanno cambiando la normativa sulla partnership con la Cina, per noi il punto di riferimento rimane l’Ue e il “toolbox” per ridurre la minaccia cibernetica”.

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