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Abu Dhabi – Missione lampo del ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Luigi Di Maio, negli Emirati Arabi Uniti, dove ha incontrato, tra gli altri, il ministro degli Affari Esteri degli Emirati Arabi Uniti, Abdullah bin Zayed Al Nahyan. Dal 20 luglio scorso, data dell’ultimo colloquio telefonico ufficiale tra i due omologhi, tanta acqua è passata sotto i ponti. Per non dire che il mondo è cambiato ora che Biden, alla testa della prima potenza economica, potrebbe cambiare il baricentro degli equilibri e delle agende internazionali.

L’alone delle elezioni americane, che hanno tenuto col fiato sospeso il mondo intero fino a sabato scorso, deve aver rappresentato una cornice irrinunciabile nel confronto. A poche ore dal verdetto Usa, infatti, sono arrivate anche le congratulazioni del pragmatico e prudente principe ereditario di Abu Dhabi, Mohammed bin Zayed, che però, appena tre mesi fa, ha concluso gli accordi di Abramo con Netanyahu (a cui poi si è unito anche il Bahrein), tramite il broker americano Trump. Del resto, Biden era ancora candidato alla Casa Bianca quando, ad agosto, ha elogiato gli accordi come un “passo storico per colmare le profonde divisioni del Medio Oriente”. Mentre la mossa politica che potrebbe cambiare il peso specifico della potenza emiratina nel Golfo e che viene rivendicata con grande orgoglio dalle autorità locali, era già stata gestita con grande prudenza anche dal principe Zayed, che, alla cerimonia della firma alla casa Bianca, si era fatto rappresentare dal suo ministro degli Esteri, lo stesso che ha incontrato Di Maio in queste ore.

Ad ogni buon conto, i rapporti emiratini sono sempre stati trasversali e produttivi sia con i repubblicani che con i democratici. Se il Bahrein ospita la quinta flotta della Marina degli Stati Uniti, la base emiratina di Al Dhafra accoglie alcune unità dell’aviazione a stelle e strisce. Ora che è scomparsa la pistola sul tavolo di Trump, dopo l’uccisione del generale iraniano Qassim Soleimani e dopo l’immediata ritorsione missilistica ad una base americana in Iraq, nel Golfo si guarda con attenzione al nuovo multilateralismo di Biden e alle sue parole sull’accordo sul nucleare (noto come Piano d’azione globale congiunto, Jcpoa): rivendicando la strategia politica degli anni in cui era vicepresidente di Obama, in campagna elettorale ha definito l’accordo “come punto di partenza per il seguito se l’Iran tornerà a rispettarlo.”

Un altro capitolo che rimane aperto anche nel Golfo è quello della Libia. Proprio in queste ore, settantacinque rappresentanti del Paese nordafricano, appartenenti a varie circoscrizioni e parti politiche, hanno avviato colloqui a Gammarth, nei pressi di Tunisi, sotto l’egida dell’Onu. La rappresentante speciale del segretario generale dell’Onu e capo ad interim dell’Unsmil, Stephanie Williams, si è detta “ottimista” circa la possibilità di conseguire una tabella di marcia per le elezioni nel Paese ancora in preda del caos. Ma all’Italia preme anche un delicatissimo allegato del dossier, la questione dei 18 pescatori siciliani trattenuti dal primo settembre dal Maresciallo Haftar. Invitando alla massima prudenza, proprio in questi giorni, il vice ministro degli Esteri Marina Sereni, in un’intervista radiofonica, ha auspicato una mediazione emiratina, che insieme alla Russia, figura tra i players “che hanno con quelle forze della Cirenaica un rapporto più stretto.”

Ma nel confronto tra il ministro Di Maio e le autorità emiratine non possono essere mancate riflessioni anche sulle grandi trasformazioni sociali che hanno scosso in queste ore la Federazione di sette monarchie ereditarie: con una serie di decreti legge federali, ad effetto immediato, gli Emirati hanno modificato il codice penale in materie che riguardano, ad esempio, la convivenza di coppie non sposate, il consumo di alcol, i diritti delle donne o la punizione del “delitto d’onore”. Misure che vanno verso un alleggerimento della sharia che regolamenta, sempre a titolo di esempio, il trattamento dell’eredità e della divisione dei beni di una persona deceduta (che da oggi seguiranno le leggi vigenti nei Paesi d’origine).

Tali cambiamenti, che la stampa non ha esitato a definire “radicali” (Gulf Business) e che appaiono improntati ad una netta occidentalizzazione dei costumi, hanno colto di sorpresa la grande comunità degli espatriati, quasi il 90% della popolazione locale, e sono stati comunicati, fulmine a ciel sereno, dopo i quattro interminabili giorni di spoglio elettorale americano. Difficile ancora tentare una lettura completa del cambiamento annunciato. Si può pensare, però, che se da un lato la mossa consente agli Emirati di guadagnare “agio” rispetto ai più rigidi custodi dell’ortodossia islamica nell’area del Golfo, dall’altro, le aperture annunciate sembrano funzionali anche a “rafforzare la posizione del Paese come hub preferito che attrae le persone per risiedere e lavorare”, come ha dichiarato l’agenzia nazionale Wam. Insomma, la lotta alle nefaste ricadute economiche del Covid si può combattere, con proverbiale pragmatismo emiratino, anche attraverso un cambio di passo sociale e culturale.

Infine, il cruciale capitolo di Expo Dubai e della cooperazione economica. Dopo aver incontrato il ministro della Tolleranza e della Coesistenza e Commissario Generale degli Eau per Expo 2020 Dubai, Nahyan bin Mubarak Al Nahyan e il ministro dell’Economia, Abdullah bin Touq Al MarrI, il ministro Di Maio si è recato anche a Dubai per visitare il sito di Expo, insieme al Commissario generale italiano Paolo Glisenti. Di Maio ha espresso il forte sostegno italiano per un’esposizione di successo, sottolineando come il nostro Paese stia investendo tutte le risorse necessarie per realizzare un Padiglione di grande valore attrattivo, ispirato a principi di sostenibilità ed economia circolare, nonché una perfetta vetrina della tecnologia e del design dell’Italia. La piattaforma Expo sarà cruciale, infatti, per rilanciare i rapporti commerciali tra i Paesi partecipanti. Le esportazioni costituiscono un pilastro fondamentale per la ripresa economica italiana ed è anche all’appuntamento di Dubai che guarda il Patto per l’Export, licenziato dal governo italiano proprio nel giugno scorso.

Gli Emirati, intanto, vantano un tasso di mortalità da Covid tra i più bassi, pari allo 0,4%, e partecipano alla corsa internazionale al vaccino collaborando con la società cinese Sinopharm tramite l’emiratina G42. Non c’è dubbio che il Paese arabo si prepari ad Expo anche con l’obiettivo di laurearsi campione mondiale come luogo Covid-free. Senza rinunciare alla scommessa di individuare un rimedio o un vaccino entro l’apertura dei cancelli.

Expo Dubai, Libia e Medio Oriente. Tutti i dossier di Di Maio negli Emirati Arabi

Nell’agenda del ministro, Expo Dubai, con visita al Padiglione Italia, la Libia, il Medio Oriente, le riforme in favore della convivenza di coppie non sposate, dei diritti delle donne e del consumo di alcol appena licenziate dal Paese arabo

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