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Ogniqualvolta cittadini di matrice religiosa cattolica si impegnano in Italia a dar vita ad iniziative politiche si moltiplicano le prese di posizione; in qualche caso con richieste di chiarimenti; ma il più delle volte con un profluvio di interessati consigli, di perplessità se non di aperto dissenso.

A costoro andrebbe ricordato che per l’apporto e la guida determinante dei cattolici, l’Italia ha vinto la sua sfida con la storia. Basti pensare all’uscita dalla povertà e l’ingresso nel novero dei Paesi più evoluti. Al concorso determinante nello sconfiggere il comunismo. All’essere stata fra i primi Paesi fondatori della Nuova Europa. Ad averci consegnato una Costituzione e riforme economiche e sociali, tante volte prese ad esempio nel mondo, e così di aver concorso alla promozione della pace e della giustizia sociale.

Senza sottacere, che da quando il suo apporto si è affievolito, a partire dal 1993, tutti gli indicatori da quelli etici, a quelli politico-istituzionali, a quelli economico-sociali hanno avuto un trend negativo. Tanto che si parla apertamente di una eredità fatta di “macerie” e di “declino”.

Vorrei ora, per dare ordine a questa riflessione, introdurre con una premessa per poi dar seguito con alcune precisazioni.

A) Dio e la dimensione religiosa, sono ancora oggi parte della nostra vita e di questo mondo; la Sua domanda è ancora larga e diffusa, anche fra i giovani. Cosi come forte è ancora la ricerca dell’uomo di oggi di misurarsi con il soprannaturale e di non accontentarsi della materialità del vivere.

E chi lo volesse impedire, o preferisse che l’uomo moderno limitasse il suo operare ai soli orizzonti terreni, questi sì si macchierebbero di imposizione e oscurantismo.

Dall’insegnamento evangelico abbiamo appreso che per stare vicino agli uomini nostro Signore si è fatto “Carne”. Che sta a significare che si è fatto, esso stesso, Uomo; con tutti i caratteri che l’uomo presenta: pregi e difetti, con le sue paure e la sua irrefrenabile ansia di libertà, con le sue cadute e le sue potenzialità.

Non è stato alla finestra. Non è stato con le mani in mano. Ma si è messo in cammino. Favorendo con ciò un fertile rapporto di dialogo ed interlocuzione.

Da questo insegnamento noi vogliamo trarre motivazioni e ragioni di ispirazione.

Abbiamo fatto questa premessa per dovere di trasparenza e chiarezza; che non ci impedisce però di dialogare e di confrontarci sul terreno più propriamente politico, anche con chi la pensa diversamente.

1. Quando sosteniamo la tesi di favorire la riaggregazione di una grande area politico-culturale, come passo necessario per il formarsi di un grande partito di ispirazione cristiana, non intendiamo riferirci ad un soggetto di soli cattolici; tantomeno di soli praticanti. Ma ad un soggetto laico, democratico, plurale e quindi dalle esperienze più variegate, aperto a credenti e non, che vuole attingere la propria ispirazione dalla dottrina sociale cristiana.

Un soggetto che operi in “piena autonomia” rispetto alle gerarchie cattoliche; che per le sue scelte non ha bisogno né del loro endorsement, né tanto meno del loro benestare.

Una realtà che non ha nulla a che vedere con il cosiddetto “collateralismo” del secolo scorso. Tanto più dopo la sterzata operata dal Concilio Vaticano II.

Si nasce all’insegna della libera determinazione. Convinti che il patrimonio di valori, cultura e storia di cui ci sentiamo legittimamente eredi, sia non solo utile ma essenziale all’Italia e all’Occidente. E per questo, ma solo per questo, meritevoli di considerazione.

Questa caratterizzazione non ci impedisce di sollecitare il ritorno all’unità, la più ampia possibile, delle tante esperienze fatte da associazioni, movimenti e partiti cristianamente ispirati.

Chiedere a laici, cristiani e non, di far fronte comune per dare una nuova chance a questo Paese e alla Ue lo riteniamo solo un dovere morale e un doveroso esercizio di responsabilità.

Di fronte a tanta difficoltà, di fronte a tante emergenze non ci è consentito stare alla finestra. La discesa in campo deve ritenersi non solo una necessità, ma un imperativo.

2. Iniziative rientranti in questo alveo se ne sono registrate tante. Ci soffermiamo sulle più rilevanti: Todi uno e Todi due.

Sono naufragate, se possiamo sintetizzare, per la scarsa convinzione dei protagonisti, più attenti al marcarsi, che propensi alla sfida, e soprattutto senza alcun coinvolgimento popolare; per la mancata declinazione dei caratteri identitari che rendessero il progetto nuovo, e che lo smarcasse dal ritenerlo solo come un ennesimo partito o un semplice cartello elettorale; e, infine,  dall’essersi attestati sulla formula del rapporto federativo, che al collo di bottiglia ha consentito a ciascuno degli attori in campo di muoversi in totale autonomia, ponendo le basi alla disintegrazione dell’esperienza Monti.

È su questa base che Insieme, partito in piena fase costituente, intende sviluppare i propri caratteri e la propria identità, che dovrebbero cosi esplicitarsi:

a) europeisti, senza riserve, nella cornice definita dai padri fondatori, e aperti al multilateralismo e ad una governance globale aggiornata;

b) alternativi all’esperienza bipolare italiana, alla sua caratterizzazione litigiosa e leaderistica, come pure alla sua deriva populista;

c) autonomi e unitari rispetto ai perimetri recintati del tradizionale schema: centro-destra, centro-sinistra, ritenendo superata la fase della irrilevanza, ma pure aperti alla collaborazione cooperativa e ad alleanze chiare e trasparenti;

d) grande, popolare, a partecipazione diffusa e capace di riportare a protagonismo i territori ed i corpi intermedi, ricchezza imprescindibile anche nella modernità;

e) che assume la famiglia e l’impresa come suoi cardini di riferimento, e il lavoro, l’ambiente, la sanità e la scuola come le sue priorità assolute.

3. Questa sfida, quasi temeraria, ma alla nostra portata – tanto che sono centinaia e centinaia in Italia i semplici volenterosi, gli accademici, i magistrati, gli opinions leaders che hanno deciso di partecipare a questo Progetto- richiede uno straordinario sforzo di elaborazione e di declinazione del principio di libertà, su cui l’intero Occidente è entrato in cortocircuito. Non vi può essere piena libertà senza parallela assunzione di piena responsabilità verso i doveri che ci spettano.

Non può esistere autoaffermazione fuori da un contesto di comunità.

Ed una comunità per poter vivere ha bisogno della partecipazione delle persone; ha bisogno della forza propulsiva del dialogo, che non consiste nel solo parlarsi, ma nel condividere e nel progettare assieme.

Va recuperato attraverso una profetica alfabetizzazione collettiva il principio di fraternità, come prerequisito, come tensione del valore positivo dello stare insieme, dell’essere simbiotici, dell’essere capaci di far interagire i diversi.

Essere comunitari ci consentirà di rifuggire dal rischio di esseri risucchiati dalla semplice identificazione, e non si volesse, dalla pericolosa suggestione.

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