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Mentre tre giorni fa il comando Africa del Pentagono ha svelato quanto finora non detto (sebbene noto) a proposito dell’abbattimento del Predator italiano in Libia – è stato un sistema mobile Pantsyr russo a tirarlo giù – l’Italia cerca Mosca per un aiuto a risolvere una bega pruriginosa: il sequestro dei 18 pescatori siciliani tenuti in ostaggio a Bengasi dalla milizia che risponde al signore della guerra dell’Est libico, Khalifa Haftar.

Haftar, capo miliziano che fatica a controllare la Cirenaica ma mira a diventare il nuovo rais libico, riceve assistenza politica, diplomatica e militare da Mosca e dagli Emirati Arabi – che infatti di quei sistemi Pantsyr comprati dalla Russia ne hanno spostati tanti in Libia, salvo essere individuati e distrutti in serie, a giugno, dai droni turchi quando Ankara ha deciso di alzare il livello del coinvolgimento al fianco del governo onusiano Gna e obliterare il tentativo di Haftar di prendere Tripoli con le armi.

La Farnesina fa sapere che il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, ha sentito ieri telefonicamente il suo omologo emiratino, Abdullah bin Zayed Al Nahyan, e oggi parlerà con il russo Sergei Lavrov. Le fonti diplomatiche sottolineano alle agenzie che “Emirati e Russia sono due attori molto influenti nei confronti di Bengasi”. Il pressing della diplomazia italiana è necessario in quanto dalla Cirenaica, chi tiene sotto sequestro i pescatori, è stata avanzata una proposta irricevibile.

I miliziani libici che combattono da sempre per rendere vano lo sforzo di rappacificazione – e che osteggiano il percorso dell’Onu e della Comunità internazionale avviato verso la stabilizzazione – hanno infatti chiesto all’Italia il rilascio di quattro connazionali considerati dalle autorità della Cirenaica “calciatori”, ma condannati dalla giustizia catanese (Assise e Appello) perché macchiati di un crimine mostruoso: da scafisti, lasciarono morire 49 migranti, sbarrando il boccaporto dell’imbarcazione.

I pescatori, con i due pescherecci “Antartide” e “Medina” uscite per il gambero rosso di Mazzara, sono trattenuti dal 1° settembre per ordine del Comando centrale, quello che risponde direttamente a Haftar. Finora l’intelligence italiana – che nel corso degli anni ha mantenuto attivi i rapporti con l’Est, pur sostenendo il governo legittimo a Ovest – ha tenuto le trattative riservate. Ora le indiscrezioni dalla Farnesina servono per aumentare la pressione internazionale sugli haftariani. Le milizie che rispondono al signore della guerra – attualmente in fase disgraziata, dopo che la missione lanciata il 4 aprile 2019 contro Tripoli è naufragata a inizio estate – hanno sempre visto l’Italia come un nemico.

Sequestri di pescherecci ci sono già stati, per esempio, così come minacce retoriche e dichiarazioni infuocate. O ancora: quando il Predator fu abbattuto, a novembre dello scorso anno i miliziani si fecero fotografare sui rottami (e ufficialmente gli haftariani non hanno mai riconsegnato i resti all’Italia, che li ha richiesti). In quegli stessi giorni, sorte identica toccò a un velivolo americano, ma in quel caso il portavoce della milizia haftariana si scusò con Washington per quello che fu definito un incidente.

Non è ancora chiaro ufficialmente cosa successo al drone italiano, se sia stata abbattuto dagli uomini della Wagner – i mercenari russi costantemente denunciati da AfriCom – o da altri militari che sostengono le ambizioni militariste di Haftar. Se sia stato un errore (forse confuso con un velivolo turco) oppure no. Mosca e Abu Dhabi mantengono contatti con Roma sulla Libia, ma sono schierate apertamente con un miliziano che considera gli italiani ostili.

 

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