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Una svolta silenziosa ma decisiva per la difesa europea: il voto del Parlamento Ue riconosce l’urgenza di reagire alle minacce alla sicurezza. Ma l’Italia resta in bilico, rinunciando sia all’uso dei fondi di coesione sia alla deroga sul Patto di stabilità. Ne abbiamo parlato con Michele Nones, vice presidente dell’Istituto affari internazionali (Iai).

Professore, qual è il significato del voto di oggi?

La decisione presa oggi dal Parlamento europeo è il riconoscimento dell’urgenza con cui deve essere affrontato il tema della difesa e sicurezza dell’Unione europea di fronte alle nuove minacce. Il fatto che questa sia stata la motivazione utilizzata dalla Commissione europea per proporre le modifiche con una procedura di urgenza non comportava automaticamente che questa necessità fosse riconosciuta anche dall’Europarlamento. Dal mio punto di vista, invece, il voto odierno conferma che nella maggioranza dei parlamentari europei c’è una consapevolezza dei rischi e delle minacce dell’attuale situazione geostrategica, e in particolare la situazione che si è venuta a creare con l’attacco russo all’Ucraina. Situazione che evidenzia l’urgenza con cui bisogna che l’Europa risponda.

Cosa comporterà la modifica alla regolamentazione del Fondo di coesione approvata oggi dal Parlamento europeo?

Le modifiche previste consentiranno agli Stati nazionali interessati di modificare parte delle attività previste dai Piani di coesione – ovviamente solo l’ultima parte di queste attività, dal momento che i Piani riguardano il periodo 2021-2027 e siamo a metà del 2025 – per cercare di usare i finanziamenti ai fini del rafforzamento delle capacità di difesa e sicurezza dell’Europa. Do per scontato che, se una parte di questi finanziamenti fossero indispensabili per completare iniziative precedente assunte queste parti di fondi non sarebbero disponibili, ma sicuramente ci sono i margini per fare in modo che anche attraverso questo strumento si possa contribuire a creare una più efficiente Europa della difesa.

Qual è il significato politico di questa modifica e come si colloca nel quadro delle diverse iniziative europee avviate (ReArm Europe, Safe, ecc.)?

Sul piano politico, l’approvazione della misura proposta dalla Commissione potrà dare un contributo anche alle altre iniziative proposte da Palazzo Berlaymont con lo stesso obiettivo: in particolare ReArm Europe, Safe e le altre che potranno venire. L’obiettivo è costruire una rete di iniziative, basate su fondi a disposizione degli Stati derivati sia da risorse europee, sia da fondi nazionali, che tutte insieme costituiscano un network in grado di far fare un significativo passo in avanti alla deterrenza nei confronti delle potenziali, e direi non più solo potenziali, minacce.

La competenza in materia è del commissario Fitto: che impatto avrà sull’immagine dell’Italia e del governo Meloni?

Il fatto questa materia sia nell’aera di competenza del commissario Fitto dimostra non solo la validità della proposta italiana di designarlo commissario e la decisione di Ursula von der Leyen di assegnargli una materia molto delicata, ma soprattutto conferma la capacità anche dei nostri politici di saper conciliare la tutela dell’interesse europeo con quella dell’interesse nazionale. In questo caso è importante rilevare che, davanti a questa proposta, nonostante finora il governo italiano non abbia dimostrato interesse nell’utilizzare questa opportunità nel nostro piano di coesione, non vi è stata un’opposizione italiana a riconoscere responsabilmente la possibilità ad altri partner, magari con altre esigenze, di farvi ricorso. Quello che è avvenuto nel 2022 ha evidentemente modificato radicalmente e completamente tutta l’impostazione programmatica delle iniziative europee portate avanti fino a quel punto (impostate alla fine dello scorso decennio e all’avvio di questo). Il 2022 è stato una cesura tra passato e presente che ci impone di riconsiderare scelte prese – anche correttamente – prima.

Oltre a non volersi avvalere di questa ulteriore possibilità, l’Italia non ha comunque comunicato la sua volontà di ricorrere alla deroga del Patto di Stabilità prevista da Re-Arm Europe per finanziare a debito per tre anni le nuove spese militari. Pensa che la decisione odierna possa modificare questa volontà? E in caso contrario, come faremo a rispettare gli impegni per arrivare al 2%?

Il problema per l’Italia sarà quello di saper conciliare la rinuncia di utilizzo dei Fondi del piano di coesione e la decisione di non ricorrere alla possibilità di derogare dai vincoli del Patto di stabilità con l’esigenza di rispettare l’altro impegno, assunto in ambito Nato nel 2014, di portare innanzitutto le spese della Difesa al 2% del Pil. Obiettivo che sicuramente al vertice dell’Alleanza di fine giugno vedrà un ulteriore innalzamento dell’asticella, speriamo con una prospettiva più limitata rispetto ai numeri circolati finora, ma che comunque si situerà intorno al 3%. Decidere di non usare la deroga al rispetto dei vincoli del Patto di stabilità ha sorpreso molti osservatori, perché – va ricordato – questo obiettivo è stato posto prima di tutto dall’Italia e in particolare da questo governo. Una misura che in questi scorsi due anni è stata posta più volte quale condizione indispensabile per il nostro Paese per rispettare l’impegno di spesa al 2%. Non si capisce perché allo stato attuale, dopo aver sostenuto di non poter raggiungere questo obiettivo senza derogare, una volta ottenuta la possibilità di deroga, grazie al convincimento degli altri Paesi e all’approvazione da parte delle istituzioni europee, noi non siamo stati i primi a chiedere di poterla utilizzare. Non si spiega questa posizione, poi risultata vincente. Ma noi non facciamo le battaglie per gli altri, le facciamo per noi, ed era stato chiarito fin da inizio quello era il principale ostacolo per l’Italia nel raggiungimento del 2%

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