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In riferimento alle trattative in corso sui rischi della crisi di governo, come è noto era stata proprio la questione per la Task Force per il Recovery Plan italiano il punto di innesco su cui aveva inizialmente puntato con fermezza i piedi Matteo Renzi in contrapposizione al premier Giuseppe Conte. A me non interessa in questa sede giocare a fare l’analista politico sulle probabilità di crisi o non crisi, ma soffermarmi sulla questione della governance del Recovery Fund.

In effetti, c’erano molte anomalie nella strana piramide decisionale proposta dal premier Conte in quanto metteva assieme nel medesimo contenitore decisori politici come se stesso e due ministri con sei super manager e centinaia di esperti, tutti coinvolti nella medesima struttura (definita in termini plastici “atroce” dall’ex premier Lamberto Dini in una intervista a Formiche.net).

Personalmente, mi era capitato di proporre da queste colonne di optare invece per la figura di un Alto Commissario di governo supportato da dovuta provvista e dotazioni e che operasse ovviamente in collegamento con il quadro di governo.

Riflettendo ulteriormente sulla questione, ho maturato una certa apertura e qualche forma di apprezzamento verso la proposta sostenuta in varie sedi da Giorgio La Malfa, venendo io dal suo stesso filone politico-culturale, che tiene conto della delicatezza nel nostro Paese, del rapporto fra discrezionalità politica, discrezionalità amministrativa e discrezionalità tecnica. La Malfa, che ha raccolto le motivazioni e gli interventi sulla proposta in un libro pubblicato dalla fondazione Ugo La Malfa sulla strategia da mettere in campo sul miglior utilizzo dei 209 miliardi assegnati dall’Europa al nostro Paese, si è basato, come ha riferito da ultimo in un’intervista in videoconferenza a Ugo Magri de La Stampa, sul principio: date “alla Politica quello che le è proprio e sottraetele quello che non le è proprio”. Il primo assunto da cui egli muove infatti è che se il piano non sarà efficace nell’utilizzo dei fondi Europei si rischia di andare verso la crisi definitiva del debito pubblico nazionale.

Di qui la proposta di “un istituto specifico per l’esecuzione del piano Italiano, operativo per tutta la durata del Next Generation Eu e guidato da una persona di indubbio prestigio internazionale.
L’ING – Eu, sigla dell’istituto, raccoglierebbe i progetti che rientrano nei generali orientamenti di spesa stabiliti dal governo (e approvati dal Parlamento) e dovrebbe procedere a scegliere quelli più efficaci dal punto di vista dei loro effetti sulla crescita economica, sulla produttività e sull’occupazione. La Malfa indica in Draghi, Cottarelli, Cassese, alcune delle personalità che potrebbero essere poste alla guida dell’istituto per il Next Generation Eu. Si tratta per tale via di superare il nodo di fondo delle centinaia e centinaia delle stazioni appaltanti, di quando e come i progetti passeranno nelle mani di centinaia di entità diverse, tra ministeri, regioni, comuni, amministrazioni varie, subendo, oltre le tradizionali lungaggini burocratiche, pressanti pressioni di lobbies pubbliche o private. Ciò che potrebbe comportare da parte dell’Ue, che si riserva i controlli in corso d’opera, la decisione di bloccare l’erogazione di fondi.

Certo, per varare un modello del genere occorrerebbe un molto coraggioso e poco prevedibile colpo d’ala da parte di queste forze politiche, non tanto propense a spossessarsi della discrezionalità politica. Ma se si rendessero davvero conto che occorre davvero assicurarsi che il piano risponda realmente al requisito “più crescita, più produttività e meno debito pubblico”, credo che a quel punto sarebbe possibile un’accelerazione per mettere in piedi il nuovo Istituto che si potrebbe organizzare per tempo con una dotazione dei migliori esperti scelti come interni o esterni alla pubblica amministrazione, come fu a suo tempo ad esempio per la cassa per il Mezzogiorno. Certo, si tratta di una grande sfida per le forze politiche in campo, gravate questa o quell’altra in parte da ipoteche come quelle del populismo o del dilettantismo o del nuovo dilettantismo o dell’assenza di coraggio riformatore.

Ritengo che una riflessione tempestiva va fatta perché se non si segue una formula che garantisca l’efficace selezione e presentazione dei progetti il rischio è sia che nei vari passaggi semestrali previsti dal modello del Recovery Fund si perdano i contributi europei, sia, soprattutto il fallimento della ripresa economica del Paese e una seria crisi del debito pubblico. Domani, lunedì 4 Gennaio, non a caso, la fondazione Ugo La Malfa terrà assieme a Assonime di Innocenzo Cipoletta e Stefano Micossi un convegno congiuntamente in videoconferenza sul tema “La Governance del piano Next Generation Eu” che prende spunto dal rapporto Assonime dal titolo “Quale sede istituzionale per l’impiego dei fondi Next Generation Eu” che era già stato trasmesso alle istituzioni alla fine di novembre e dal volume della fondazione Ugo La Malfa “Next Generation Eu proposte per il piano italiano”, pubblicato nel mese di dicembre.

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Una riflessione tempestiva sul modello di governance va fatta perché se non si segue una formula che garantisca l’efficace selezione e presentazione dei progetti il rischio è che si perdano i contributi europei ma soprattutto il fallimento della ripresa economica del Paese. La proposta alternativa della Fondazione La Malfa, discussa domani in un convegno Assonime

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