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Questa settimana il Regno Unito decide il destino della partita per la rete 5G. Il premier britannico Boris Johnson è pronto a un’inversione a U sulla presenza di Huawei nella banda ultra-larga. È ormai data per certa dai suoi più stretti collaboratori, e dalla stampa nazionale. Il Financial Times mette nero su bianco una road map. Questo martedì una prima, decisiva tappa: il Consiglio di sicurezza nazionale inglese si riunirà per esaminare un report della Ghcq, l’agenzia di intelligence, sui fornitori cinesi nella rete. Poi, in settimana, la decisione sul bando di Huawei, che entrerà in vigore “nel giro di mesi”.

BoJo è in una doppia morsa. Da una parte il pressing statunitense, iniziato a gennaio, quando Downing Street ha annunciato una limitazione solo parziale di Huawei nella rete 5G (35% nella parte non-core, esclusa dalla parte core). Una mezza soluzione che ha mandato su tutte le furie la Casa Bianca. Dall’altra il montare di una sommossa in casa Tories. All’inizio la fronda dei filo-americani era limitata a un piccolo ma compatto drappello di parlamentari guidati da Sir Ian Duncan Smith. Poi si è allargata. A marzo ben 36 conservatori hanno votato contro il governo, cercando (senza riuscirci) di cambiare la legge sulle telecomunicazioni. Il blitz è fallito, ma ha comunque segnalato un malcontento record nel partito dalle elezioni generali.

Non mancano ovviamente pressioni sul premier in senso opposto. A Westminster è in corso da settimane un affannato via vai di società di lobbying per scongiurare l’esclusione di Huawei dall’infrastruttura 5G. Come a Bruxelles, anche a Londra il colosso tech di Shenzen si è armato fino ai denti. Alla chiamata, svela il Financial Times, hanno risposto Burson, Cohn and Wolfe per le relazioni pubbliche, Flint Global per la consulenza, e Mhp Communications per il monitoraggio parlamentare.

A tirare Johnson per la giacca ci sono anche e soprattutto le feluche cinesi. L’ambasciata di Pechino a Londra ha già promesso “conseguenze” se la conversione anti-Huawei del governo dovesse andare in porto. E c’è chi, come l’ex numero uno del Tesoro Philip Hammond, mette in guardia dai rischi di uno strappo con Pechino su temi delicati come Hong Kong e 5G, all’indomani di una Brexit che costringe a cercare nuovi mercati. Insomma, ribaltare il tavolo della partita per la banda ultralarga può avere effetti collaterali. Ecco perché, rivela sempre il Financial Times, Johnson vorrebbe farlo, ma non in solitaria.

A Downing Street prende corpo l’idea di mettere in campo un’iniziativa con gli altri quattro membri dei Five Eyes (Usa, Canada, Nuova Zelanda, Australia), il gruppo di Paesi legati da un accordo di condivisione di intelligence. Una soluzione auspicata anche da Nigel Inkster, già numero due dell’MI6, in un’intervista a Formiche.net. Il gran tessitore è Oliver Dowden, segretario alla Cultura, convinto della bontà di una strategia per le telecomunicazioni condivisa con gli alleati. Resta alla porta, ma molto defilato, il piano di un “Club delle democrazie” (D10) composto dai Paesi G7 più India, Corea del Sud e Giappone.

5G, arriva il verdetto Uk su Huawei. BoJo fra due fuochi

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