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Quello a Ginevra è stato un fine-settimana passato a trovare una quadra nel triangolo Stati Uniti-Ucraina-Europa riguardo all’eventuale piano di pace per porre termine al conflitto in Europa Orientale. Con risultati tutt’altro che chiari.

Da una parte, Washington e Kyiv hanno affermato di aver raggiunto progressi sostanziali nello sforzo di trovare un compromesso sulla bozza d’accordo inizialmente proposta dagli Stati Uniti, rilasciando un comunicato in cui il dialogo viene definito “costruttivo, mirato e rispettoso”, e viene esplicitato come “Le discussioni abbiano mostrato progressi significativi verso l’allineamento delle posizioni e l’identificazione di chiari passi successivi. Hanno ribadito che qualsiasi accordo futuro dovrà rispettare pienamente la sovranità dell’Ucraina e garantire una pace sostenibile e giusta”. Toni che riecheggiano nelle parole del Segretario di Stato Marco Rubio che ha dichiarato di essere “Molto ottimista sul fatto che ci arriveremo in un lasso di tempo ragionevole”, aggiungendo poi di “Non volere dichiarare vittoria definitiva in questa sede. C’è ancora del lavoro da fare”. Ma oltre ai toni positivi (che cozzano profondamente con la sensazione, emersa negli scorsi giorni, che le discussioni diplomatiche non stessero andando da nessuna parte), poco altro si sa sugli effettivi progressi.

Mentre ad essere stata resa nota è una “controproposta” elaborata dai Paesi europei e presentata durante le discussioni a Ginevra. In questa versione rivista del piano di pace vengono meno la rinuncia esplicita dell’Ucraina ad unirsi all’Alleanza Atlantica, con l’adesione che viene condizionata solamente ad un consensus generale dei Paesi membri, così come l’impegno della Nato a non allargarsi ulteriormente. Sul piano militare, il limite imposto alle forze armate ucraine diventa più alto, con 800.000 effettivi contro i 600.000 previsti nella bozza stilata dagli Stati Uniti. Inoltre, vengono eliminate alcune clausole punitive contenute nella prima proposta, come la decadenza delle garanzie Usa qualora l’Ucraina attaccasse la Russia.

Sul capitolo territoriale, il piano Usa riconosceva formalmente Crimea, Donetsk e Luhansk come territori russi,  prevedendo il ritiro ucraino da parti del Donetsk non occupate, e riconoscendo a Mosca anche la parte degli oblast di Kherson e Zaporizhzhia attualmente occupati, mentre la controproposta europea mette per scritto solamente che l’Ucraina non tenterà di riconquistare militarmente i territori occupati, rinviando la questione a negoziati futuri a partire dalla linea del fronte.

E ancora, la proposta europea elimina il fondo d’investimento congiunto alimentato da asset russi congelati e rinvia lo sblocco dei beni a una futura compensazione dei danni di guerra, senza profitti condivisi né cooperazione economica strutturata; scompare il riferimento all’ingerenza culturale e identitaria, sostituita dal semplice impegno ucraino a rispettare gli standard europei sulle minoranze. Vengono infine tolti sia il vincolo a tenere elezioni entro 100 giorni sia l’amnistia generalizzata post-bellica.

Difficile immaginare che questo piano così com’è possa venire accettato dagli Stati Uniti e, soprattutto, dal Cremlino. Ma esso rappresenta comunque una base negoziale per “ammorbidire” la posizione americana, mirando ad un compromesso che sia meno pesante per i partner ucraini.

 

 

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