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Specie (ma non solo) nell’ultimo anno, il pendolo del potere oscilla e staziona pericolosamente dal lato del governo, mentre il ruolo del Parlamento sembra sempre più debilitato.

Si tratta di un fenomeno che dovrebbe suscitare l’allarme dei veri democratici ma ad accorgersene sembrano essere in pochi, tra cui la presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati che, in una recente intervista al Corriere della sera, ha denunciato la gravità di questo fenomeno, invitando le forze politiche a favorire la riappropriazione dei propri poteri da parte del Parlamento, tornando all’architettura prevista dalla Costituzione che all’articolo 48 disegna una forma di governo parlamentare che prevede una chiara centralità del Parlamento.

La tenaglia che ha favorito questa forte riappropriazione di poteri da parte del governo, soprattutto sul piano dell’attività legislativa, è stata ed è quella che ha in una leva l’abuso della decretazione d’urgenza e nell’altra leva il moltiplicarsi del ricorso ai disegni di legge di delega.

Dell’abuso dei decreti legge si è ampiamente discusso, ma il governo continua imperterrito. Dall’inizio della legislatura, i decreti legge sono stati ben 59, mentre le leggi approvate, escluse i disegni di legge di ratifica dei trattati internazionali e le leggi obbligate come quelle di bilancio, sono solo 25. Ma questo non basta. Su un quinto della sua produzione legislativa il governo ha posto la questione di fiducia. Siamo quindi in presenza di un pendolo del potere che gravita nettamente dal lato dell’esecutivo.

Minor attenzione si è posta sull’altra leva della tenaglia: il moltiplicarsi del ricorso ai disegni di legge di delega, laltro strumento che sposta il baricentro della produzione legislativa dal Parlamento al governo.
Normalmente, un disegno di legge in cui il governo chiede la delega a legiferare si dovrebbe utilizzare in presenza di normative con una certa valenza tecnica, o nel caso di testi unici, o in casi affini.

Ebbene, se invece guardiamo alla Nota di aggiornamento al documento di economia a finanza troviamo un elenco di ben 22 disegni di delega che il governo annuncia, dichiarandoli “collegati” alla prossima manovra di bilancio.

In quest’elenco di prossime leggi di delega, che in quanto collegate dovrebbero andare in buona parte in porto, troviamo un po’ di tutto, dalla riforma del fisco alle “lauree abilitanti”; dalla riforma degli ammortizzatori sociali al “lavoro agile” o smart working, dall’introduzione del salario minimo allo statuto dei diritti dell’imprenditore. Si va poi dalle norme per lo “sviluppo delle filiere e l’aggregazione tra imprese” alla semplificazione dei procedimenti per il contenimento del dissesto idrogeologico. Ci sono quindi in qualche caso materie che implicano aspetti di tecnicalità per cui il ricorso alla delega può avere un senso, in vari altri casi materie che dovrebbero essere oggetto di disegni di legge ordinari.

Del resto, non è la prima volta che questo succede: anche la Nadef di un anno fa elencava 22 ddl di delega collegati, che però non tutti sono stati presentati. Tant’è che almeno 7 deleghe dell’elenco presentato nelle scorse settimane per il 2021 sono residuate dalla lista dello scorso anno. Una di queste, di particolare attualità in quanto rilanciata dal Recovery Fund, riguarda la promozione della green economy che per un anno era rimasta a giacere sulla carta, così com’era avvenuto per la riforma del fisco che era anch’essa contenuta nell’elenco delle deleghe dell’anno scorso.

L’altro aspetto è poi che se si vanno a verificare i singoli disegni di legge di delega si trovano molto spesso principi e criteri direttivi (che devono essere chiaramente definiti sulla base di quanto previsto dalla Costituzione) ben poco precisi e a maglie molto larghe, per cui in vari casi il Parlamento si trova quasi a concedere deleghe in bianco e il vero legislatore è quasi a tutti gli effetti il governo.

Ci troviamo quindi di fronte ad una concentrazione di poteri normativi, vuoi grazie alla decretazione d’urgenza, vuoi grazie alla legislazione delegata eccessiva e spropositata nelle mani del governo e ciò non sembra tra l’altro aver favorito un miglioramento della qualità della legislazione, perché la qualità tecnico normativa ad esempio nei decreti Covid non è certo tale da esser portata ad esempio nelle aule di master di scienza e tecnica della legislazione. Il rischio è che stia cambiando silenziosamente e nell’inconsapevolezza generale la forma di governo italiana.

 

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