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È evidente che i prossimi mesi saranno assai difficili per tutto il Paese. L’impennata dei casi di contagio del Covid-19 è un fatto inevitabile, ben anticipata da tanti competenti esperti, a cui dobbiamo essere davvero grati. Di meno dovremmo esserlo alla pletora di virologi ed immunologi dell’ultim’ora, che senza base scientifica, hanno spazi televisivi sproporzionati, dando un contributo determinante alla confusione.

C’è un problema di framing, cioè di come si comprende la realtà, su cui vogliamo porre l’attenzione. Che la situazione sia serissima, c’è poco da dire. E non c’è altresì alcun dubbio che lo sforzo di responsabilità individuale e sociale sia la chiave per garantire il benessere collettivo. Su questo aspetto non possiamo fare a meno che ricordare il recente intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

Quello su cui però occorre riflettere è la comunicazione della rappresentazione del caso nazionale. Va detto che il sistema Italia ha gestito meglio di altri la situazione, sebbene con discutibili scelte temporali e strategiche, come l’app “Immuni” e i banchi a rotelle, e decisioni controverse quali l’attività delle discoteche e la riapertura delle scuole in condizioni così precarie.

A livello europeo, il nostro Paese ha avuto il coraggio per primo di riconoscere la gravità della pandemia e assumere la difficilissima, e finanche tardiva, decisione di imporre il lockdown. Nella prima settimana del marzo 2020, l’Italia era il “caso d’Europa”. Oggi, statistiche alla mano, l’Italia è il paese del Sud Europa dove ci sono minori contagi.

Le inefficienze e gli errori nella gestione di una situazione così complessa sono stati molti; tantissime le vittime di tali drammatiche sottovalutazioni a cui va il nostro sentito ricordo, ma è altrettanto vero che abbiamo il dovere di riconoscere la molteplicità di azioni individuali, locali e nazionali, che hanno avuto successo e che sono state svolte con coraggio e determinazione e con il sacrificio di tutto il Paese, grazie alle tante categorie professionali esposte in prima linea. Spesso sostituendosi, come non raramente accade, alle omissioni e alle assenze pubbliche. Riconoscere tali risultati vuol dire analizzare serenamente uno dei limiti culturali del nostro paese: il disfattismo. Che nessuno meglio di Francesco Cossiga ha saputo descrivere, affermando che: “Italiani sono sempre gli altri”.

Il motto “tanto in Italia non funziona niente” è una ricorrente affermazione con la quale si intende giustificare l’irresponsabilità e l’inazione nei comportamenti quotidiani di molti. Ovviamente, gli esempi pubblici a volte ampiamente legittimano questi punti di vista.

Purtroppo, però questo approccio di una parte del Paese danneggia internamente ed esternamente la comunità nazionale. Il danno interno è che si continua ad alimentare un’immagine ben peggiore di quella che, pur con deficienze gravi, l’Italia è in realtà. Non possiamo fare a meno di ricordare che tale distorsione culturale danneggia soprattutto i giovani che perdono sempre più fiducia e non colgono le grandi opportunità che il nostro Paese ci offre, nonostante le evidenti incertezze politiche che cercano di affrontare la situazione prevalentemente con la propaganda.

Il danno esterno è legato all’immagine del nostro Paese nel sistema europeo e globale. Non finiremo mai di ripeterlo: sono tante le potenze europee, e non solo quelle, che hanno interesse a danneggiare la reputazione nazionale. Anche perché la guerra prevalente di oggi e di domani è quella dell’informazione.

Il disfattismo e la lamentela, sebbene legittimati, continuano a facilitare la posizione di chi ci vuole un Paese sempre meno prospero ed influente. Quando un parametro macro-economico italiano crolla è facile trovare una copertura stampa internazionale che lo menzioni. In questo, inglesi e francesi sono in prima linea, dimenticando sistematicamente le loro contraddizioni.

Quando però l’Italia, com’è successo ad agosto, mostra un + 7.7% di crescita sul mese precedente nella produzione industriale, superando Francia e Germania, sembra che a nessuno interessi, se non a qualche giornale specialistico del nostro Paese.

Crediamo che bisognerebbe sforzarsi di guardare la realtà con maggiore obiettività. Forse dovremmo cominciare a riconoscere i grandi successi del sistema Italia. Vorremmo menzionare, per esempio, i ponti aerei nord-sud messi a disposizione dall’aeronautica militare durante i periodi di maggiore difficoltà o l’incredibile sforzo profuso da medici ed infermieri in tutto il paese, sottolineando allo stesso tempo i punti di miglioramento. Sarebbe utile anche riconoscere l’estrema complessità della situazione e provvedere ad una indispensabile comparazione internazionale.

Infatti, basta guardare a quanto sta succedendo in Francia e in Spagna in questi giorni. Di fronte un livello di contagi abnorme, oltre 25.000 al giorno, la Francia continua a tentennare con misure che gli esperti definiscono assai parziali. Potremmo dire altrettanto della Spagna, che ha imposto il lockdown assai discutibile di Madrid e continua a mostrare dati epidemiologici discordanti e poco attendibili.

Sono pochi i giornali a riportare la notizia con precisione: Madrid “capitale” è in realtà apertissima, perché sono i centri limitrofi ad essere in lockdown. Ad oggi un comune cittadino può tranquillamente salire su un treno a Barcellona, arrivare comodamente alla stazione di Atocha e passeggiare come se niente fosse nel centro di Madrid.

Non dobbiamo mai dimenticare che l’Italia è un grande Paese, è la seconda potenza industriale d’Europa, una nazione ricca di competenze professionali e culturali di altissimo valore. Al di là degli evidenti limiti politici, questo dovrebbe essere il punto di partenza di qualsiasi seria e responsabile discussione, per costruire consapevolmente il futuro.

E infatti concludiamo con le parole che Francesco Cossiga il 25 aprile del 1992 pronunciò in occasione delle sue dimissioni anticipate da Presidente della Repubblica: “Ai giovani voglio dire di amare la Patria, di onorare la Nazione, di servire la Repubblica, di credere nella libertà e di credere nel nostro Paese”.

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