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Hong Kong è stata l’epicentro dei contrasti, delle sintesi e delle contaminazioni tra Oriente e Occidente. Ventitré anni fa la bandiera del Regno Unito fu ammainata e la colonia fu restituita alla Cina dopo 150 anni di dominio britannico. Un’occupazione che rappresenta al meglio le ingiustizie del colonialismo europeo: la città-stato venne amministrata dal Regno Unito immediatamente dopo la fine della prima guerra dell’oppio. Un conflitto in cui l’Impero cinese tentava di arginare la diffusione dell’oppio, importato proprio dalle navi britanniche nel Regno di Mezzo. Una storia che tutt’ora nei manuali scolastici delle scuole cinesi rappresenta le umiliazioni subite dalla Cina. 

Il ruolo della città-stato nell’evoluzione della storia cinese e soprattutto nella complicata relazione tra la Cina e l’Occidente è cruciale. Hong Kong fu il luogo che accolse più di 200.00 esuli anticomunisti negli anni immediatamente successivi alla fondazione della Repubblica popolare cinese. A Hong Kong la cultura cinese fu alimentata e preservata durante il disastro delle Rivoluzione culturale. A Hong Kong sono nate le contaminazioni tra cultura cinese e cultura occidentale, il cinema, la letteratura e tutte quelle forme artistiche che dal secondo dopoguerra hanno invaso l’Europa e l’America. Hong Kong fu lo strumento essenziale per lo sviluppo dell’economia cinese negli anni Novanta. Pechino detiene un ampio controllo sui capitali e negli ultimi anni è spesso intervenuta nel sistema bancario della città-stato, più raramente nel mercato finanziario. Ma Hong Kong resta una delle economie libere e uno dei principali mercati azionari al mondo. Anche se le dimensioni dell’economia di Hong Kong sono oggi solo il 3% di quella cinese, mentre ammontavano al venti per cento alla fine degli anni Novanta, il valore reale dell’economia della città-stato è enormemente più grande. Il peso dei legami di Hong Kong con la finanza mondiale è estremamente rilevante anche oggi per Pechino. Tutto questo è dovuto proprio alla dimensione liminale che Hong Kong ha costantemente ricoperto, un ruolo di confine che delimita ma anche di soglia che riflette. 

Hong Kong era quel luogo dove, arrivando in treno da Shenzhen, appena varcato il confine Facebook e Twitter iniziano miracolosamente a funzionare di nuovo. Hong Kong era un luogo dove potevi trovare tutti libri che desideravi, aprire i siti e leggere gli articoli che cercavi. Hong Kong era un luogo dove smettevi di parlare a bassa voce di alcune cose e di guardarti intorno con circospezione quando nominavi i politici della Repubblica popolare cinese. Hong Kong era un’isola, guardata con invidia e ammirazione dai cinesi negli anni passati e in tempi recenti sempre più con malcelata insofferenza. Hong Kong era l’unico posto al mondo in cui riuscivi ad avere un visto per la Cina in una giornata. Era uno dei luoghi più liberi del continente asiatico, la scelta di Edward Snowden di rifugiarsi a Hong Kong e il comportamento delle autorità della città-stato di fronte alle richieste statunitensi sono solamente una dei tanti esempi di questo ruolo. 

Tutto questo è andato irrimediabilmente perduto con l’entrata in vigore della nuova legge sulla sicurezza nazionale di Hong Kong. La modifica della costituzione dell’ex colonia britannica ha radicalmente modificato il cosiddetto “un Paese, due sistemi” ed è una chiara negazione dell’accordo preso nel 1984 tra il primo ministro britannico Margaret Thatcher e il premier cinese Zhao Ziyang per garantire autonomia politica a cittadini di Hong Kong. La notizia degli arresti di decine di manifestanti per la violazione della legge per la sicurezza nazionale, già nel primo giorno di entrata in vigore della norma, è un segnale chiaro per il futuro della città-stato. I leader della protesta hanno cancellato gli account sui social media, oramai ogni dichiarazione può costituire una possibile incriminazione mentre gli esponenti della cultura e dell’accademia stanno valutando il loro futuro a Hong Kong. Tutti quegli spazi di confronto sono in pericolo, ma proprio in quegli spazi era stata costruita la crescita culturale ed economica della città-stato nei precedenti decenni

Oriente e Occidente hanno perso un luogo di incontro e sintesi, la mancanza di uno spazio fisico capace di coniugare i due mondi costituisce un serio problema all’interno della contesa sempre più decisa tra la Repubblica popolare cinese e gli Stati Uniti. Mentre l’Europa sembra incapace di reagire di fronte alla palese negazione degli accordi internazionali, da parte cinese, insita nella legge appena entrata in vigore a Hong Kong. Bruxelles lancia flebili ammonimenti mentre i singoli paesi continuano con proficui rapporti bilaterali. La legge sulla sicurezza nazionale a Hong Kong sancisce un ulteriore inasprimento della sfida egemonica tra Washington e Pechino e l’Europa non ha ancora espresso una chiara posizione al riguardo. Una mancanza fatale, visto che stavolta il cuore della questione della legge promulgata a Hong Kong sono proprio gli stessi valori fondanti dell’Unione europea.

La Cina, Hong Kong e il silenzio dell'Europa

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