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La morbidezza con cui Hezbollah ha accolto la richiesta di “azione e riforme” da parte del presidente francese Macron ha fatto ipotizzare a molti un accordo implicito tra l’inquilino dell’Eliseo e l’Iran. Dietro questo ipotetico accordo si scorgono però due visioni diverse: l’impegno dell’Eliseo è quello di riportare un protagonismo francese nel Mediterraneo orientale grazie alla mobilitazione del mondo per il Libano, mentre il calcolo iraniano, condiviso ovviamente dai vertici del Partito di Dio, sembrerebbe quello di arrivare comunque a novembre, quando l’Iran spera che Trump verrà battuto.

In un Paese straziato da crisi economica (il dollaro valeva a ottobre 1.500 lire libanesi, ora viene cambiato a 7mila), pandemia (centinaia i contagi ufficiali giornalieri) e scontri armati (ripresi anche in queste ore a ridosso di Beirut), non era però possibile arrivare immobili a novembre, e Macron ha potuto smuovere le acque grazie alla drammaticità assoluta della situazione. Ecco che dal cilindro del suo pressing il presidente francese è riuscito a far uscire il coniglio del nuovo premier, atteso inutilmente da settimane, quando il governo in carica si dimise dopo l’incredibile esplosione del porto di Beirut.

Ma non poteva ottenere il sì di Hezbollah a nomi da loro ritenuti filo-americani, tutti bocciati prima ancora di concorrere. Nè i nomi “di peso” si sono detti disponibili. Così ha ottenuto la designazione di un autentico sconosciuto, con qualche entratura parigina, si sussurra sui giornali libanesi. Potrà durare fino a novembre? Per forzare la mano Macron ha minacciato una nuova conferenza dei donatori a ottobre: per quella data servirebbero fatti, cioè riforme economiche e bancarie vare. Ma il Presidente della Repubblica, il maronita Michel Aoun, eletto con il sostegno decisivo di Hezbollah, ha prospettato un piano diverso: parlare da subito di altre riforme, quelle istituzionali e costituzionali, compresa la riforma elettorale.

Questo “tavolo” quanto tempo richiederebbe? La sfida però è adesso, i libanesi lo sanno, e forse è per questo che Macron ha voluto minacciare in caso che non si faccia il dovuto di passare dagli aiuti alle “misure punitive”. La situazione è così difficile che il Libano in questi giorni doveva tornare al lockdown per la gravità della pandemia, ma la popolazione si è rifiutata: senza energia elettrica, senza lavoro, con i prezzi alle stelle, solo riuscire a fare la spesa richiede ore di lavoro fuori casa. Lo sa per primo il Presidente della Repubblica Michel Aoun, il cui partito nella “piazza” cristiana ha dimezzato i consensi in base a recenti sondaggi.

Se si votasse oggi il partito del “presidente forte” avrebbe poco più del 10% dei consensi, perché la piazza cristiana che dovrebbe rappresentare non crede più nelle sue promesse e nel suo patto politico con Hezbollah. L’esplosione del porto è stato un evento traumatico per tutto il Libano, a cominciare dai cristiani, che ora pensano a lasciare il Paese, non credono più nel “presidente forte”, né in suo genero, l’ex ministro degli esteri che studia da futuro Presidente.

Questi umori li interpreta alla perfezione il patriarca maronita, Beshara Rahi, che ha chiesto, ieri, un governo che sappia dire di essere il solo che può dichiarare guerra ed a controllare armamenti, e oggi che non accetterà una riformulazione delle “quote confessionali”. Eh sì, perché in Libano quando si parla di riforme costituzionali si parla di un nuovo patto che superi l’attuale divisione del Parlamento, 50% musulmani e 50% cristiani. Tutti sanno che da tempo Hezbollah, che controlla quasi in esclusiva la piazza sciita, rivendica quote di un terzo: un terzo sunniti, un terzo sciiti, un terzo cristiani.

Questo obbligherebbe i cristiani a pensarsi la stampella di qualcun altro. Ed è questo spettro che il presidente Aoun ha evocato con il suo annuncio sul “nuovo patto costituzionale” ed questo spettro che ha respinto al mittente il patriarca Beshara Rahi, dicendo che la sua Chiesa non accetterebbe alcuna revisione in chiave tripartita. Basta pensarci bene per capire cosa potrebbe accadere se due attori si accordassero ai danni di un terzo. Ed eccoci all’assurdo di un governo che dovrebbe essere di salvezza nazionale ma che sarà il governo più debole della storia libanese, quello che si profila per il prossimo futuro. Un governo però ci vuole per dire ai libanesi che si può almeno trattare con la comunità internazionale, cercare qualche aiuto nel mare di difficoltà correnti. Se così stessero davvero le cose sarebbero mesi terribili i prossimi mesi, ma in fin dei conti terribili per i libanesi, non per l’establishment. Poi i grandi attori potranno decidere quale gioco fare.

Macron nel gioco feroce della casta libanese. L'analisi di Cristiano

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