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L’aggressione del signore della guerra dell’Est libico, Khalifa Haftar, sembra ormai su un piano inclinato verso la disfatta. La presa di Tripoli è tornato a essere il sogno militaresco del miliziano più che una possibilità concreta, come invece sembrava mesi fa. Il Governo di accordo nazionale, Gna, ha riconquistato terreno, soprattutto grazie all’intervento della Turchia a difesa della Tripolitania, e l’esecutivo onusiano ha recuperato spazio politico in Occidente, anche per via del palesarsi del coinvolgimento diretto russo alle spalle di Haftar.

Questione che interessa soprattutto gli americani. Mentre la Casa Bianca ha stretto il contatto (continuo) con Tripoli – relazioni sulle spalle del vicepremier libico, Ahmed MaiteegPentagono e dipartimento di Stato hanno notevolmente alzato i toni contro Mosca, e pare anche che gli apparati stiano portando il presidente Donald Trump verso un incontro (reale o virtuale) con il presidente del Consiglio presidenziale, il premier libico Fayez Serraj.

“I contractor russi della Wagner sembra si siano già spostati da al Jufra (base haftariana di riferimento, nella Libia centro-orientale, dove avevano ripiegato dal fronte e si erano ricongiunti con un dispiegamento dal peso ben più politico: i caccia spostati dalla Siria. Ndr)”, spiega a Formichet.net Daniele Ruvinetti, esperto del contesto libico. “Secondo le ultime informazioni, ora sarebbero a sud, in una grande base nel Fezzan al confine con il Ciad – spiega – e questo sottintende due cose. Primo, che potrebbero aver intenzione di piazzarsi in una zona dal valore strategico che contiene riserve di uranio, oro e altri metalli pregiati, sebbene controllata dai Tebu, ostili ad Haftar; secondo che potrebbero avere preso quella postazione per una forma di accordo con la Turchia”.

Secondo Ruvinetti c’è il rischio che in Libia si ripeta quanto visto nel contesto siriano – dove Ankara e Mosca hanno cristallizzato il processo con la creazione di un tavolo di negoziato permanente. “Per questo – prosegue – auspico che l’Italia riprenda in mano il pallino del gioco. E posso dire che questo, sulla base dei miei contatti a Tripoli, è anche quello che spera il Gna. Tra l’altro, il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, potrebbe appassionarsi al dossier, metterlo in cima alla lista delle priorità, anche perché la Libia non è solo una questione di politica internazionale, ma anche di politica economica, commercio e investimenti all’estero. Aspetti da non sottovalutare in un momento in cui l’economia italiana cerca territori di crescita e spinta”.

Sabato, il premier Giuseppe Conte ha avuto un colloquio telefonico con l’omologo libico Serraj. La striscia di vittorie, l’arretramento di Haftar anche sul piano politico, hanno concesso spazi diplomatici a Tripoli. Come detto c’è un rinnovato interesse americano, che però – spiega Ruvinetti – “non possiamo sapere fin dove arriverà: gli Stati Uniti hanno da fare con l’epidemia, con la situazione economica e la disoccupazione, con le proteste post-Minneapolis e con le presidenziali, d’altronde”.

“Ritornare a essere protagonisti in Libia, per l’Italia, potrebbe essere adesso davvero più possibile, e Tripoli ci sta chiamando”, aggiunge. Nella conversazione con Conte, per esempio, Serraj ha chiesto all’Italia un aiuto per sminare le aree della capitale che sono state abbandonate dagli haftariani e lasciate infestate di mine e dispositivi esplosivi improvvisati agganciati agli edifici civili – ossia pronti a colpire gli abitanti quando torneranno nelle proprie case.

Molte di quelle mine, e di quelle tecniche con cui gli Ied sono stati costruiti, sono del tutto simili a quelle viste nel Donbas ucraino nel 2014. Potrebbero essere state opera della Wagner, che anche in Ucraina ha avuto un ruolo. Mosca tuttavia mantiene sul dossier libico un atteggiamento ambiguo: mentre rema per costruire una sfera di influenza nell’Est del Paese, il ministro degli Esteri, Sergei Lavrov, ha invitato per un colloquio al Cremlino sia il vicepremier Maiteeg che l’omologo libico, Mohamed Taher Siala.

Libia. Tra Russia e Turchia, l’Italia può avere un nuovo ruolo. La chiamata di Tripoli

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