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“La Cina è pronta a fare da guardiano all’ordine mondiale e da riparatrice dell’economia globale”. Li Junhua, ambasciatore della Cina in Italia, non ci gira tanto intorno. In un’intervista a Repubblica, il diplomatico lancia un messaggio chiaro: la Cina è vicina, e non farà un passo indietro. Junhua parla a Roma perché Washington intenda. Ora che gli Stati Uniti di Donald Trump hanno inziato a rispondere con i fatti e a venire in soccorso degli alleati europei, la “coronavirus diplomacy” cinese nel Vecchio Continente è entrata in una nuova, più aggressiva fase della campagna diplomatica per stringere rapporti (e contratti) con i partner del Vecchio Continente nel guado dell’emergenza sanitaria.

Due le ragioni che spiegano una così brusca accelerazione. La prima: la crisi economica. Oggi mantenere un accesso privilegiato al mercato europeo non è un optional, è questione di vita o di morte per l’economia cinese. La caduta a picco del Pil, che, scrive Reuters, gli analisti stimano in un -6,5% sull’anno precedente da gennaio a marzo, -9,9% su base trimestrale, preoccupa non poco le feluche cinesi. Per trovare un precedente bisogna risalire al 1992. Se si pensa che nel primo trimestre del 2019 il Pil cinese è cresciuto del 6% si ha una dimensione del baratro.

La seconda: non tutto fila liscio nella campagna cinese in Europa a suon di aiuti internazionali, mascherine, equipaggiamento medico. Negli ultimi giorni, il piano di Xi Jinping ha iniziato a mostrare le prime crepe.

La Cina è stata la prima ad accorrere al fronte. Già ai primi di marzo è iniziata la spola di aerei cargo dall’ex Celeste Impero per rifornire i Paesi Ue (e non) più colpiti dalla crisi del coronavirus, Italia in testa. Il tempismo, complice un’imponente operazione di pubblicità (e propaganda) sui media ufficiali del Partito comunista cinese (Pcc) che ha raccolto un discreto successo nell’universo mediatico dei Paesi nel mirino, ha aiutato Pechino ad accreditarsi come “first comer” durante l’emergenza.

I risultati non si sono fatti attendere. Per l’Italia basti prendere atto di un recente sondaggio di Swg, che fotografa una situazione inedita: sono più gli italiani che guardano alla Cina come partner internazionale rispetto a quelli che preferiscono rimanere ancorati all’alleanza storica con gli Stati Uniti.

In Europa dell’Est il responso è ancora più clamoroso. La “mask diplomacy” cinese viene accolta a braccia aperte, e messa a confronto con l’inerzia di un’Ue matrigna e ormai lontana. Non che il terreno non fosse già fertile. Serbia, Ungheria, Repubblica Ceca. I Paesi-cardine della Via della Seta cinese, dove Pechino ha in programma miliardi di euro in investimenti in infrastrutture, porti, autostrade, sono ora in prima fila ad accogliere l’amica Cina.

Così il presidente serbo Aleksandar Vucic bacia la bandiera cinese all’aeroporto di Belgrado e sentenzia poco dopo: “La solidarietà europea non esiste. Solo la Cina può aiutarci”. Il premier magiaro Viktor Orban, forte dei nuovi “pieni poteri”, spalanca le porte a Pechino. Il presidente ceco Miloš Zeman conclude che “solo la Cina” è accorsa al momento del bisogno.

La strada del Dragone in Europa, però, non è tutta in discesa. Nelle ultime settimane sono arrivati da alcuni dei principali partner europei innegabili segnali di insofferenza, e diffidenza. Nel Regno Unito, la Commissione Affari Esteri dei Commons ha lanciato l’allarme propaganda cinese, e simili avvertimenti stanno filtrando, sotto traccia, dalle due principali agenzie di intelligence, l’MI5 e l’MI6.

Spagna e Olanda hanno annunciato la sospensione dell’invio di mascherine ed equipaggiamento medico cinese, dopo aver certificato come difettosi e dunque inutili i primi carichi arrivati da Pechino. In Francia il Quai d’Orsay ha addirittura convocato l’ambasciatore cinese Lu Shaye. Un funzionario dell’ambasciata ha puntato il dito contro la gestione della crisi, accusando medici e infermieri francesi di “abbandonare i loro posti di notte e lasciare i cittadini a morire di fame e malattia”. Dalla stessa ambasciata era partita un mese fa la fake-news del virus made in Usa con tanto di hashtag #Trumppandemic su Twitter.

Il backlash della campagna cinese in Europa ha più di una ragione alle spalle. Su tutte, la controffensiva diplomatica degli Stati Uniti, per niente rassegnati a lasciar campo libero a Pechino in Europa. Tra Dipartimento di Stato e della Difesa, Casa Bianca e National Security Council, l’amministrazione ha iniziato a rispondere alla propaganda cinese. Prima con il de-bunking delle fake news. Poi con i fatti: è il caso della maxi-spedizione in Italia di equipaggiamento medico e tecnologico da 100 milioni di dollari annunciata e confermata da Trump in persona il 30 marzo scorso.

Cina, economia cala e aggressività sale. Le mosse del Dragone in Italia (e Francia)

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