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Da tre giorni un C-130 del 222esimo Squadrone aereo turco atterra in staffetta aerea quotidiana alla base aerea di al Watiya (nella regione più occidentale della Libia), dopo essere decollato da Konya (in Anatolia). Il dettaglio interessante sta nel fatto che entrambe le infrastrutture sono basi turche. Una de iure, quella anatolica, l’altra ormai de facto: al Watiya è un’installazione enorme verso il confine tunisino che ha fatto per mesi da centro logistico della campagna haftariana per conquistare Tripoli. Da quando le ambizioni del signore della guerra dell’Est sono state notevolmente ridimensionate — per via all’arretramento imposto dalle forze del governo Gna aiutate dalla Turchia — al Watiya è stata abbandonata e diventata sineddicge libica. Ankara la vuole come piattaforma sul Mediterraneo, rappresentazione plastica dell’idea strategica di Recep Tayyp Erdogan (frutto della voglia di mare dei turchi, la stessa che l’ha fatto allungare fino al Corno d’Africa). Che però non piace a molti.

Anche ai Paesi che non ostacolano le penetrazioni turche in Libia a patto che non diventino una forma di consolidazione destabilizzante. E l’uso massiccio di al Watiya rischia di essere questo. Figurarsi come la vedono i rivali. Venerdì la Francia ha risposto a una provocazione statunitense, la richiesta agli alleati europei di fare di più per far rispettare l’embargo degli armamenti in Libia e di pressare la Russia per togliere i suoi uomini dal contesto della crisi. Parigi ha rimbalzato al mittente la domanda, chiedendo che anche Washington faccia di più, ed era sottinteso che intendesse un “contro-la-Turchia”, visto che dagli Usa si criticava che gli europei fossero troppo anti-turchi e poco bilanciati contro gli sponsor di Haftar (tra cui c’è anche la Francia, seppure in via più clandestina).

I francesi da settimane hanno alzato la retorica sulla Turchia. Ne contestano la presenza nel quadro del conflitto libico. “Con un pizzico di ipocrisia fanno notare questa interferenza: per carità, c’è, ma non che Parigi faccia o abbia fatto di meglio o di diverso. Forse, diciamocelo, pesa anche la sconfitta subita”, fa notare discretamente un diplomatico di un altro paese europeo. La storia di copertina del Le Point di questa settimana titola: “Erdogan. La guerra alle nostre porte”. Nel settimane c’è un lungo articolo in cui il giornalista Armin Arefi scrive che “Parigi è stata lasciata sola dai suoi alleati”. Commento tipico dai media nazionalisti turchi in risposta:La Francia imperialista è terrorizzata da Erdogan, ma non sanno che questo è solo l’inizio”. Val la pena ricordare che Francia e Turchia sono alleati nel quadro Nato. Martedì, in una telefonata con Erdogan, il presidente statunitense, Donald Trump, s’è offerto di mediare con il francese Emmanuel Macron. Il tema per gli Usa è mantenere al minimo l’influenza velenosa russa, schierata sul lato haftariano con ambizioni di disturbo geopolitico. La creazione di fratture intra-Nato è già un buon obiettivo per Mosca.

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